In una Turchia ancora in stato di emergenza attentati e che ancora soffre la repressione in risposta al mancato colpo di stato di pochi mesi fa, gli occhi sono puntati sulla possibilità (data quasi per certa) di andare alle urne il prossimo aprile. Il presidente Tayyp Erdogan ha tempo fino al 7 febbraio per firmare la richiesta di consultazione popolare per una serie di drastiche riforme.
Con l’entrata in vigore del provvedimento, infatti, sarebbero diversi i cambiamenti che potrebbero investire il sistema governativo turco. Secondo il nuovo testo, il Parlamento vedrà considerevolmente ridimensionato il suo ruolo e le sue competenze e non potrà più opporsi alle nomine dei ministri da parte del capo dello Stato. Se la riforma venisse approvata, il presidente Erdogan avrà la possibilità di rimanere in carica fino al 2029, se l’elettorato lo riconfermasse.
Il presidente, poi, avrebbe tutti i poteri di proporre la sospensione o la limitazione dei diritti e delle libertà fondamentali se il paese dovesse trovarsi ad affrontare di nuovo uno stato di emergenza. Il testo prevede anche il taglio nel numero dei membri della corte costituzionale, a causa della prevista abolizione di tribunali e giudici militari.
Il partito del presidente Erdogan, l’Akp (Partito islamico moderato per la giustizia e lo sviluppo), per riuscire ad ottenere il referendum ha dovuto stringere un’alleanza con il Partito Nazionalista Mhp, cedendo alla richiesta di escludere dalle consultazioni il partito curdo, l’Hdp.
Per arrivare a questo punto, lo scontro tra governo e opposizioni è stato molto acceso. A gennaio infatti il parlamento è stato teatro di scontri anche fisici tra le parti politiche. Eclatante fu l’episodio legato a Aylin Nazliaka, deputata indipendente, che si ammanettò al microfono scatenando una bagarre tra deputati di maggioranza e opposizione.
Anche nella società civile lo scontro è molto acceso; i sondaggi per il momento danno in vantaggio il no alla riforma con percentuali che vanno dal 46.6 al 54 percento.