Helia, 28 anni, è una ragazza scappata da Teheran, dove non si sentiva più libera. Ha raccontato a Lumsanews la sua esperienza.
Le manifestazioni di questi giorni, in realtà, sembrano partire da lontano. È così?
“Le proteste conto l’hijab obbligatori sono cominciate già nella rivoluzione nel 1979, quando la Guida suprema è arrivata e ci ha imposto il velo con la creazione della Polizia morale. Da anni ci sono proteste simili. Ovviamente non si parla solo delle donne, ma anche dei transgender o non binary, che non hanno diritti. Alcune persone omosessuali o Lgbt non solo vengono arrestate ma sono anche uccise. Vivere e essere una minoranza in Iran è difficilissimo. Anche se vuoi esprimerti è un problema. Io quando stavo studiando in Iran all’università ho fatto una presentazione sulla storia del femminismo e una sugli omicidi d’onore delle donne da parte di fratelli o mariti. I miei amici, i professori, mia madre mi hanno detto: “Sai che ti sei presa un grande rischio”. Spesso ti arrestano solo per aver parlato di queste cose. Il problema è profondo”.
Perché è scappata?
“Io non mi sentivo a casa. È il mio Paese, sono nata lì, come musulmana. Ma crescendo non mi sentivo più legata alla religione e quindi la mia famiglia ha pensato fosse meglio andassi via, anche per continuare gli studi fuori. Venire qui in Italia è stato come iniziare da zero. Avevo un parente a Roma, ho iniziato a studiare la lingua italiana e poi sono partita”.
Ha sentito i suoi amici rimasti in Iran in questi giorni?
“È molto difficile. Dal 2009 internet è filtrato, così come tutti i social media. Dal 2019 la rete internazionale è stata bloccata, quindi bisogna usare le chiamate normali che hanno un costo molto alto. Il regime in questi giorni ha staccato anche la rete nazionale e ha ucciso decine e decine di persone. In questi giorni a stento riesco a sentire la mia famiglia, ma non su Whatsapp o Instagram”.
Qual è il sentimento tra i giovani iraniani?
“Sicuramente la rabbia. Ma queste proteste sono molto diverse dalle altre. C’è la grande speranza di cambiare il regime. I giovani vogliono la caduta di questo governo. Non c’è nessuna libertà, la situazione economica è gravissima. I giovani sono sottopagati, si va al supermercato e non si riesce a comprare i beni necessari. All’università non puoi parlare di quello che vuoi”.
Rispetto alle scorse proteste, perché c’è la speranza di un esito diverso?
“Proprio perché sono diverse. Ci sono tantissime persone scese in piazza rispetto alle altre volte. C’è l’aiuto di Anonymous (il collettivo di hacker internazionali), che ci sta supportando. C’è tanto sostegno da persone all’estero, attrici, attori, cantanti famosi sia iraniani che stranieri e sembra esserci più attenzione internazionale riguardo alla situazione in corso. Ed è importante perché anche i governi stranieri devono mettere pressione su Teheran, magari interrompendo le relazioni commerciali con l’Iran”.
La diaspora iraniana sta avendo un ruolo importante? Qui a Roma sono state svolte diverse manifestazioni.
“La maggior parte delle dimostrazioni sono state organizzate da studenti, senza nessun appoggio in particolare. Quello che chiediamo è il cambiamento del governo in Iran. Prima alcune persone volevano solo piccoli aggiustamenti o correzioni, ma adesso non va più bene, non basta. Il nostro governo si chiama Repubblica islamica, noi vogliamo che sia solo una Repubblica, senza riferimenti religiosi. Molti problemi arrivano per questo motivo, il governo è molto islamico. I diritti, i ruoli delle istituzioni vengono tutte dalle regole islamiche, dal Corano e a noi non va più bene”.
Quindi l’obiettivo è stravolgere tutto?
“L’obiettivo è cambiare le regole e far cadere questo governo, lasciando il fattore religioso come una questione individuale. Se vuoi metterti il velo e l’hijab puoi farlo, ma devi essere libero in caso di non farlo. Noi vogliamo essere liberi, anche di andare al mare, oggi non è così. Abbiamo una spiaggia per uomini e una per le donne. Se tu vai con la tua famiglia, non puoi stare insieme con tuo padre, tua madre e i tuoi fratelli. Noi vogliamo andarci come famiglia, vogliamo fare cose normali. Nelle scuole già a 7 anni c’è la regola del velo e fino all’università maschi e femmine sono divise. Anche per entrare negli atenei c’è la vigilanza per vedere se le ragazze sono vestite in maniera adeguata, sennò devi uscire”.
E la mancanza dei diritti prosegue anche da più grandi…
“Quando una donna si sposa, il marito ha il diritto di non lasciarla andare fuori dal Paese, di non farla viaggiare. Una donna non può prendere il passaporto senza il consenso del proprio marito. Anche nel divorzio i diritti sono tutti per l’uomo. Ci sono tanti casi. Inoltre una madre non può aprire un conto bancario per il figlio.
Gli adulti come stanno reagendo alle proteste?
“Mia mamma, per esempio, adesso è molto attiva. Usa una rete Vpn per essere connessa su internet, quando può parla su Instagram di politica e della situazione nel Paese. Ci sono molti adulti che seguono queste proteste. Mia madre è “cresciuta” in questi anni, ha imparato tante cose. Non sapeva delle persone Lgbtq, per lei è stato difficile accettare certi concetti, ma piano piano ha imparato. Adesso ne parla molto spesso, soprattutto da quando io mi sono trasferita. È molto importante che gli adulti crescano, imparando dai propri figli, e sono sempre di più quelli che vogliono imparare, nonostante molti siano ancora legati alla visione del governo”.
Sua madre ha mai ricevuto minacce?
“Sulla sua pagina aperta su Instagram alcuni account pro regime hanno lasciato commenti aggressivi, in cui la minacciano”.
E non ha paura?
“Per se stessa non molto. Sono io ad avere più paura per lei, infatti le dico di pensare anche al resto della famiglia, a mia sorella. Mia nonna invece è molto religiosa, in linea col regime, legata alle tradizioni, tanto che mia madre adesso ci litiga. E mia nonna ha diverse amiche che la pensano in questo modo, con un pensiero molto tradizionale e religioso”.
Ha mai avuto esperienza con la polizia morale?
“Sì, ero in viaggio con la famiglia in un’altra città iraniana. Avevo 19-20 anni. Stavo facendo delle foto ma non avevo messo il velo che copriva del tutto i capelli, mia sorella era piccola, aveva 9 anni e non aveva il velo. Sento due donne della polizia morale che parlano con mia sorella dicendole di mettersi l’hijab, o almeno il cappuccio della giacca. Lei stava per piangere. A quel punto sono andata a parlarci, a litigare, a urlare per difenderla. Hanno cominciato a dire anche a me di mettere il velo nella maniera giusta. Per fortuna è intervenuto un amico di famiglia e le due donne sono andate via. Non sono mai stata arrestata, anche se il timore c’è sempre stato, perché vivendo in Iran ti viene la paura della polizia. Alcune mie amiche sono state arrestate, i ragazzi a volte sono fermati se hanno capelli lunghi o colorati”.
Che succede a chi viene fermato?
“Chi viene arrestato è portato in una stazione di polizia, una struttura a Teheran fatta apposta. Ti tengono per qualche ora, devi firmare alcuni documenti con i tuoi dati e la promessa di non ripetere mai più l’atteggiamento “sbagliato”. A volte aggiungono anche qualche lezione su come mettersi il velo nella maniera corretta. Tra l’altro se non lo hai, devi chiamare la tua famiglia per farti portare dei vestiti “giusti” perché sennò non puoi uscire. E quando ti stanno arrestando, non devi opporti o resistere, perché possono picchiarti e nei camion che servono per il trasporto in caserma ti insultano e ti minacciano”.