Non ce l’hanno fatta neanche la commissione e il documento firmato da Cuperlo a ricucire le spaccature interne al Pd.
Il rifiuto di Bersani, Speranza e degli altri leader dem di approvare il documento sulla legge elettorale nel famoso combinato disposto con il Sì al referendum fa aleggiare ora come mai lo spettro di una scissione e delle due sinistre una contro l’altra.
La frattura si è consumata (ormai definitivamente?) alla Leopolda. Nella settima edizione della kermesse renziana si sono alzati dal pubblico cori al grido di “fuori, fuori!” e “scissione, scissione”. Non erano programmati, sono stati spontanei, si affrettano a chiarire i vertici della maggioranza, eppure la stilettata dal premier è arrivata chiara e forte.
Teorici della Ditta quando ci sono loro e dell’anarchia quando ci sono gli altri, li ha definiti il premier, che ha espresso la sua amarezza perché “in una parte del nostro partito gli stessi che 18 anni fa decretarono la fine dell’Ulivo, stanno provando a decretare la fine del Pd, perché hanno perso il congresso e usano il referendum per avere la rivincita”.
Referendum e congresso, appunto. I numeri della minoranza non sono straordinari, in direzione i “bersaniani” ballano intorno ai 10 voti, mentre alla Camera e al Senato i dissidenti arrivano rispettivamente a 20 e 10. In caso di vittoria del No sarebbero destinati ad aumentare, con un evidente rimescolamento delle carte.
In caso di vittoria del Sì, secondo un retroscena pubblicato da Repubblica, il piano del premier sarebbe quello di regolare subito i conti con Bersani, senza espellere nessuno ma convocando subito il congresso per ridimensionare la minoranza a una manciata di dirigenti e ridurne la presenza nelle liste elettorali nelle prossime elezioni.
Il referendum sarà dunque il crocevia per renziani e antirenziani e ciascuno farà le sue mosse intorno al Pd. Sfruttare la vittoria per chiudere la partita con la minoranza fino alla scadenza naturale delle politiche nel 2018 in caso di vittoria dei Sì.
Chiedere la testa del premier e andare subito a elezioni in caso di vittoria dei No. Torna in mente un’antica dichiarazione di Gianni Cuperlo attuale come mai: “Il vero congresso del Partito democratico è il referendum”. Già perché dopo il 4 dicembre, in un senso o nell’altro, nulla sarà più come prima.