“”Fundraising” è un termine anglosassone composto dalle parole “fund”, terreno e “raising”, crescita: indica qualcosa che se coltivato dà i suoi frutti e cioè la relazione che è basata sulla fiducia. Quando viene meno la fiducia le persone abbandonano la causa. Questo è l’enorme danno arrecato dall’operazione di marketing spacciata per beneficenza tra Chiara Ferragni e Balocco”.
Veronica Manna, Corporate Fundraiser e Co-fouder di Non Profit Factory, racconta a Lumsanews le conseguenze arrecate dallo scandalo che ha investito il mondo della beneficenza e spiega quanto sia importante la garanzia di trasparenza.
Testimonial e influencer sono due cose diverse?
“Il testimonial di prassi non riceve i soldi per quello che fa ma presta gratuitamente la sua opera all’associazione non profit per uno scopo benefico. Il testimonial può anche essere un influencer ma la sua caratteristica dovrebbe essere la totale gratuità della sua azione, cosa che non è avvenuta nel caso Balocco-Ferragni. In quel caso si è trattato di operazione commerciale”.
Una pratica molto distante dalla beneficenza…
“Si è trattato di una pratica molto scorretta che tra l’altro si inserisce in un clima di sfiducia generale nella donazione. Il donatore si deve sentire tutelato dall’organizzazione e se viene meno la fiducia finisce la relazione e il Paese ha bisogno di donazioni”.
Cambieranno i rapporti tra testimonial e aziende?
“Forse sì, ma secondo me il caso può aver innescato un meccanismo virtuoso nella scelta di testimonial seri e affidabili. Questo può avvenire quando di mezzo, tra azienda e testimonial, si posiziona l’organizzazione non profit con i suoi professionisti, in particolare i fundraiser, veri e propri “professionisti del dono” con le competenze necessarie a garantire la correttezza di questo genere di operazioni”.
Come vengono ripartiti i soldi nella donazione?
“Le organizzazioni virtuose che applicano una comunicazione trasparente, esplicitano la suddivisione delle donazioni addirittura nel sito dove elencano, tra le altre cose, i ricavi, le spese e dove vanno a finire i soldi”.
Il dato deve essere sempre specificato?
“Sarebbe una buona pratica renderlo di pubblico dominio. Nel caso delle associazioni, la quota destinata alle spese di struttura dell’organizzazione, alle campagne di comunicazione e alle spese di raccolta fondi non dovrebbe superare il 30%, nei casi più virtuosi il 15% o addirittura il 10%. Il resto deve andare interamente ai progetti dell’organizzazione”.
Ci sono altri metodi di garanzia di trasparenza?
“Nell’ambito delle donazioni aziendali solitamente la stessa azienda che dona funge da controllore, perché attraverso i documenti di rendicontazione si accerta che i soldi vengano concretamente destinati alla causa e che dunque vengano realizzati i progetti per cui si è stanziato il denaro. Loro vogliono vedere i risultati e controllare anche la rendicontazione economica, certo. Nel caso di donazioni tra individui c’è la reputazione dell’organizzazione, che si costruisce e si mantiene con un corretto storytelling” .
Come funzionano i banchetti? Quello che fanno è legale?
“La procedura è regolare, nel senso che la raccolta fondi in contanti è prevista dalla legge, con il rilascio necessario di una ricevuta. Ma anche qui è fondamentale la questione di fiducia e della relazione. Non a caso le campagne di piazza sono uno strumento di raccolta fondi molto “territoriale”, dove è centrale la figura del “volontario” solitamente una persona nota all’interno della comunità e che funge da garante per l’organizzazione a cui dona del tempo”.
E il crowdfunding?
“Si tratta di una raccolta fondi fatta online tramite piattaforme specifiche che funzionano da intermediario e in parte anche da garante. Ogni piattaforma ha il suo regolamento che è pubblico. Le modalità tramite cui viene svolta la raccolta sono dichiarate in precedenza, così come qual è la percentuale che si trattiene la piattaforma, quali sono i costi bancari e quanto va al progetto”.
È trasparente?
“Certo. Poi occorre fare dei distinguo: un conto è se si aderisce a una raccolta fondi fatta da un’organizzazione e un conto è se si aderisce a una campagna di personal fundraising, cioè di persone che raccolgono i soldi per una causa”.
E invece le partnership?
“In questi casi è buona prassi che venga esplicitata l’ammontare della donazione, il meccanismo che vi sottende (caused related marketing o pyroll giving o match gving, o altri) e il progetto che si va a sostenere. La cifra donata andrà interamente al progetto fatta salva la percentuale solitamente dedicata alle sese di struttura o di comunicazione e raccolta fondi, che, com abbiamo detto, dovrebbe essere però esplicitata nel sito e ei materiali di comunicazione istituzionale”.
Cosa pensa della proposta del governo di creare una legge ad hoc sugli obblighi di trasparenza delle donazioni?
“C’è bisogno di normare affinché la gente possa fidarsi, ma le maglie non si devono stringere troppo perché il rischio è che le piccole associazioni non riescano a stare formalmente al passo. Spero che il governo tenga conto di questo aspetto, evitando di strozzare un settore virtuoso”.