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La “quinta mafia” spaventa il Lazio. Viaggio in una regione da anni nel mirino delle mafie. Camorra, ‘Ndrangheta, Cosa nostra: tutte insieme all’assalto del potere

di Marcello Gelardini02 Luglio 2012
02 Luglio 2012

Le mafie nel Lazio stanno crescendo nell’ombra; addirittura molti ancora ne negano la presenza; eppure le classifiche collocano questa regione ai primi posti per penetrazione mafiosa, attestandosi su livelli non lontani da quelli di Campania, Calabria e Sicilia, regioni da cui le mafie intese nella loro accezione tradizionale traggono origine e sviluppo; una regione diventata un luogo di approdo per la criminalità organizzata, il terreno adatto su cui radicare e successivamente amplificare i traffici illeciti.

Attentati, omicidi di stampo mafioso, estorsione ma anche usura, riciclaggio di denaro sporco e traffico di stupefacenti; sono i principali capi d’imputazione emersi dalle inchieste condotte da magistratura e forze dell’ordine sulle attività criminose nella Capitale; non è un caso che la procura di Roma sia tra le più attive nel debellare il fenomeno mafioso grazie all’avvio di procedimenti che, negli ultimi anni, hanno superato per numero quelli attivati dalle procure del meridione.

Un fenomeno in continua evoluzione. Basterebbero alcuni dati per rendersi conto delle proporzioni del fenomeno: il Lazio è la prima regione d’Italia per giro d’usura; l’aeroporto di Fiumicino e il porto di Civitavecchia sono diventati scali privilegiati per l’approdo delle sostanze stupefacenti; il lavoro delle cosiddette ecomafie l’ha fatta balzare ai primi posti per numero di crimini ambientali accertati.

Ciò dimostra quello che la “società civile responsabile” (quella che ama la legalità e che rifiuta qualsiasi tentativo di ingerenza mafiosa nella propria vita) sospettava da almeno un ventennio: mafia, camorra e ‘ndrangheta, attraverso una reciproca collaborazione, stanno occupando il vuoto lasciato a Roma e dintorni dalle organizzazioni criminali autoctone (Banda della Magliana in primis) garantendosi il controllo dei traffici illeciti e spartendosi una torta d’oro fatta di alberghi, ristoranti e locali prestigiosi nel centro della città e soprattutto di case: un giro di milioni di euro che, partendo dalla fase di progettazione e arrivando a quella di vendita, alimenta un universo di imprese che ruota attorno alle mafie e ne aumentano la potenza economica e strategica. Tutto ciò grazie ad un terzo livello compiacente costituito da imprenditori, politica (soprattutto locale) e colletti bianchi, direttamente interessati a salire a bordo di questa macchina dei soldi.

C’è poi tutto un intreccio di alleanze con le organizzazioni criminali straniere (slavi, africani, sudamericani) che contribuisce a rendere in particolar modo lo sfruttamento della prostituzione e lo spaccio di droga vere e proprie attività “commerciali” molto redditizie; senza dimenticare la criminalità romana e laziale che, pur non avendo più una potenza di fuoco tale da permetterle di primeggiare, costituisce ancora un punto di riferimento strategico per esportare la mafia nel centro Italia grazie alla loro conoscenza profonda del territorio e delle dinamiche socio-economiche attive su un terreno nuovo e complesso.

Una nuova mafia. Tutti questi elementi hanno contribuito a formare una mafia nuova, con caratteristiche diverse dalle mafie tradizionali pur partendo da basi e obiettivi comuni; una mafia che sta diventando tipicamente autoctona del Lazio: la cosiddetta Quinta Mafia; un’enorme holding criminale che tende ad inglobare pezzi sempre maggiori di territorio e società civile. Un malaffare organizzato che, partendo dal meridione, entra nella regione attraverso un corridoio privilegiato come il basso agro pontino (zone territorialmente e culturalmente contigue all’alta Campania; ciò spiega la prevalenza della componente camorristica). Un viaggio che, all’inizio, giungeva nella Capitale per radicarsi e svilupparsi; un percorso che, una volta preso il controllo del centro istituzionale del nostro paese, ha iniziato a sferrare l’assalto al nord Italia produttivo e al nord Europa industriale.

Dal 2005 la Direzione distrettuale antimafia di Roma inizia ad attenzionare i legami tra clan locali (in primis la Banda della Magliana o, meglio, quel che resta oggi di essa) e famiglie legate a camorra e cosa nostra, nonché le collusioni tra politici e personaggi di spicco della criminalità organizzata. Ma il lavoro della mafie in questa regione, soprattutto nelle province di Roma e Latina, affonda le proprie radici a partire dai primi anni ’80.
Una spartizione del territorio che avviene in tutti i tipici settori di penetrazione mafiosa: usura, estorsione, prostituzione, spaccio di stupefacenti, edilizia e commercio. Osservando le inchieste delle procure e le indagini delle forze dell’ordine è possibile rintracciare numerosi esempi che lo dimostrano puntualmente e invitano a non abbassare la guardia ma, al contrario, a reagire per cambiare un vento che sta “inquinando”la Capitale e il suo hinterland.

Velleità imprenditoriali per le famiglie calabresi. La ‘Ndrangheta ha preferito concentrarsi soprattutto sulle attività commerciali e sul mercato immobiliare nel centro di Roma; settori in cui è più facile fare un lavoro “pulito” e con rendimenti maggiori. Alcuni casi sono sconcertanti; tra questi vi è il sequestro di due luoghi emblematici: il Cafè de Paris e l’Antico Caffè Chigi.
I sigilli al locale di Via Veneto, simbolo della “dolce vita”, vengono apposti nel 2009 dalla Guardia di finanza (e, dopo una temporanea riapertura, nuovamente messi lo scorso anno) su mandato delle procure di Reggio Calabria e Roma dopo che, un’indagine durata anni, aveva evidenziato come l’acquisto del noto locale fosse stato concluso da prestanome legati al clan calabrese degli Alvaro.
Di due anni più tardi è il sequestro del famoso bar di Piazza Colonna, proprio di fronte al centro del potere politico: Palazzo Chigi; immobile questo riconducibile, sempre stando alle indagini della DDA, alla ‘ndrina dei Gallico; come dire: la prova provata della forte penetrazione delle cosche reggine nell’economia capitolina di primissimo livello.

La provincia di Latina in mano ai casalesi. La faida incrociata tra i clan della provincia di Caserta, allargatasi anche nel basso Lazio, è stato  l’elemento che ha permesso di scoperchiare il vaso e far emergere il fenomeno “quinta mafia”. Una serie di delitti avvenuti a partire dai primi anni ’90, ai danni di esponenti di spicco dei clan mafiosi, ha portato all’avvio di indagini che hanno aperto un mondo nuovo agli investigatori: la presenza fissa delle mafie tradizionali anche nel centro Italia. Un esempio su tutti: nella cittadina di Formia, in provincia di Latina, risiede la famiglia Bardellino (uno dei pilastri iniziali dei Casalesi) dopo la sconfitta subita per mano delle famiglie Schiavone e Bidognetti nella guerra per il controllo dell’alta Campania. Ma molti altri indizi sono emersi in questi anni: partendo dai legami tra la famiglia Tripodo, presente nella città di Fondi, con pezzi della ndrangheta per arrivare alle propaggini della famiglia dei Mallardo, originari di Giuliano di Napoli, che si estendono sino sul litorale del basso Lazio.

Cosa nostra e l’usura: una dinamica che viene da lontano. Da sempre lo strozzinaggio è l’attività prediletta dalle famiglie romane con velleità mafiose; ed è anche la principale fonte di sostentamento della Banda della Magliana, l’organizzazione criminale che ha tenuto in pugnola Capitale a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Il vero salto di qualità avviene però in concomitanza con  l’esilio romano di Pippo Calò, il cassiere di Cosa Nostra: iniziano ad arrivare i soldi da riciclare direttamente dalla Sicilia e le principali famiglie mafiose della trinacria iniziano a farsi sempre maggiore spazio grazie al supporto logistico dei ragazzi della Banda; concludono affari d’oro investendo in maniera massiccia nel ciclo del cemento, diventando proprietari e costruttori di veri imperi immobiliari e inserendosi agevolmente nel giro degli appalti (pubblici e privati) grazie ad imprenditori e professionisti compiacenti, da utilizzare come prestanome, ma soprattutto grazie a politici ben disposti ad avallare tali traffici.

Le mani sulla pubblica amministrazione. Il Comune di Nettuno, geograficamente il primo comune della Provincia di Roma venendo dal sud Italia, viene sciolto nel 2005 per infiltrazioni mafiose di clan riconducibili direttamente a cosche della ndrangheta calabrese. Qualcosa di simile a quanto accaduto nel Comune di Fondi, dove però le mafie hanno saputo resistere ai tentativi di scioglimento nonostante gli evidenti elementi in mano alle forze dell’ordine.
È la dimostrazione di come la quinta mafia ha da tempo iniziato delle manovre d’accerchiamento nei confronti della politica, soprattutto locale; un vero e proprio inquinamento dell’intera azione amministrativa che va dalla riscossione dei tributi alla gestione dello smaltimento dei rifiuti urbani, dal controllo sulla polizia municipale agli interventi pilotati sull’urbanistica.

Le discariche abusive. Il Lazio sta scalando in maniera preoccupante le classifiche degli abusi ambientali; sempre più diffuse sul suo territorio discariche improvvisate o, peggio ancora, il deposito illegale di rifiuti speciali nei terreni agricoli; aree di proprietà di piccoli imprenditori che, dietro la promessa di elevati compensi, accettano di far sotterrare dai clan fusti perlopiù tossici; rifiuti che le aziende riescono a smaltire a prezzi notevolmente più bassi, rispetto ai costi ordinari, grazie all’intercessione delle organizzazioni criminali. Un duplice crimine: non solo l’aggiramento delle norme comunitarie sullo smaltimento dei rifiuti speciali ma anche la contaminazione di quei prodotti agricoli che, in molti casi, vengono messi sul mercato.

Fortunatamente, però, non tutto è perduto. Negli ultimi anni molti si sono adoperati per invertire la tendenza e bloccare l’assalto di questa grande holding criminale a tutti i settori della società contaminabili. Libera, la rete di associazioni guidata da Don Luigi Ciotti, è l’avanguardia di questo “movimento delle coscienze” che, attraverso il racconto dei traffici illeciti, e soprattutto tramite l’impegno fattivo mira a sottrarre spazi sempre maggiori alle manovre dei clan malavitosi; l’idea è quella di chiedere in affidamento i beni confiscati dal governo alla mafia e d’impiantarci attività produttivi che diano nuovo slancio a territori per anni mortificati dalla presenza criminale. E i buoni frutti non si sono fatti attendere: dopo Sicilia, Calabria, Campania e Puglia anche nel Lazio le mafie hanno iniziato a restituire il maltolto.

A Roma l’esempio più eclatante è quello della Casa del Jazz, un bene confiscato al cassiere della Banda della Magliana, Enrico Nicoletti; una proprietà enorme restituita alla collettività e nella quale si tenta ora di “fare cultura”. Storie positive che spingono a continuare su questa strada e che, in un futuro non così lontano, potrebbero portare le mafie a fare un passo indietro.

Per il momento ciò che Libera sta riuscendo a fare nel migliore dei modi e l’organizzazione di quello che gli stessi membri chiamano “conflitto sociale”: sbattere in faccia a tutti, attraverso gli esempi concreti, la capacità di trasformazione delle mafie e la pericolosità della penetrazione criminale nel tessuto sociale; se si riesce a fermare tale tendenza, forse sarà evitabile la deriva verso cui, inevitabilmente, tutti i sistemi criminosi conducono le comunità su cui s’impiantano. Una comunicazione efficace può essere sicuramente un buon primo passo per iniziare a farlo.

Marcello Gelardini

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