Nei 25 anni di presidenza di Vladimir Putin c’è un prima e c’è un dopo guerra contro l’Ucraina. L’aggressione a Kiev del febbraio 2022 ha messo in discussione l’idea del mondo che l’Occidente ha costruito dopo la fine della seconda Guerra mondiale e ha riaperto in termini nuovi il confronto della Guerra Fredda. Nello stesso tempo, alla vigilia del suo probabile quinto mandato da incassare alle elezioni del 15-17 marzo, l’“operazione militare” ucraina potrebbe essere per Putin sia un punto di forza che di vulnerabilità.
Verso il quinto mandato
L’annuncio della propria candidatura alle elezioni è arrivato a fine dicembre 2023 attraverso un video diffuso dal Cremlino. Il quattro volte presidente della Federazione russa dichiara la sua intenzione di candidarsi in un discorso dai toni contenuti, dubbiosi, quasi – come ha evidenziato Tatiana Stanovaya del Carnegie Russia Eurasia center – “a esaltarne la modestia”.
I suoi avversari nella corsa al Cremlino appaiono però più dei meri figuranti incapaci di metterlo in difficoltà. L’unico a poter erodere, almeno marginalmente, il suo consenso, avrebbe potuto essere Boris Nadezhdin, fortemente contrario alla guerra in Ucraina. La sua candidatura, tuttavia, non è stata approvata dalla Commissione elettorale centrale per irregolarità nelle firme a suo sostegno.
Sul quinto mandato presidenziale di Putin si profilano, tuttavia, incertezze e incognite che mai avevano caratterizzato i suoi precedenti mandati. “Per quanto”, come evidenzia l’analista dell’Ispi Mattia Massoletti a LumsaNews, “Putin è stato finora molto abile a nascondere tutte le crepe”.
Le conseguenze della morte di Navalny
La notizia della morte di Alexei Navalny, il più popolare degli oppositori putiniani, irrompe sui media internazionali il 16 febbraio 2024. L’uomo, detenuto in Russia dal 2021 in condizioni durissime, è deceduto – come numerosi oppositori di Putin – per cause non ancora chiarite, in una colonia penale oltre il circolo polare artico.
La sua morte, come sottolinea Massoletti, “è un duro colpo per l’opposizione” che perde una figura carismatica che, “in caso di eventuali difficoltà future”, sarebbe stato in grado di compattare le anime dell’opposizione e di “mostrare al mondo russo un’alternativa a Putin”.
D’altro canto – come evidenzia Giorgio Cuzzelli, docente di sicurezza e studi strategici alla Lumsa – la scarsa reazione popolare alla morte di Navalny si giustifica alla luce del “consenso di cui ancora godono Putin e la sua maggioranza di governo”.
Secondo Giorgio Cella – analista di politica internazionale -, invece, “la morte di Navalny potrebbe avere effetti nel medio e lungo periodo, se si puntasse alle nuove generazioni”.
La guerra in Ucraina
Comprendere se e quanto la guerra in Ucraina eroda il consenso di Vladimir Putin e scontenti la popolazione è tutt’altro che semplice. La guerra in Ucraina, come sottolinea ancora Cuzzelli, è infatti “importante sotto due punti di vista speculari”. “Da un lato rappresenta il punto di forza di Putin in quanto autocrate di tutte le Russie e dall’altro è la sua maggior vulnerabilità”. Se infatti mostra la sua volontà di non piegarsi ai diktat occidentali rispondendo a un elemento identitario forte nell’animus dei russi, dall’altro potrebbe portare a una situazione di frammentazione.
Come evidenzia, però, Massoletti, le elezioni arrivano “nel momento migliore, perché l’esercito russo sta riguadagnando l’iniziativa e il supporto occidentale all’Ucraina inizia a vacillare”.
Secondo Cella, invece, è innegabile che l’avanzata russa proceda, ma “con grosse perdite” e con una conquista che “non si estende alle città più grandi”.
Il rapporto dei russi con la guerra, inoltre, è sfaccettato. Se è vero che, come sottolinea il ricercatore dell’Ispi, “la guerra in Ucraina è stata un trauma anche per i cittadini russi” – che hanno visto disperdersi i privilegi e gli status raggiunti grazie “al buon livello di integrazione” con l’Europa -, dall’altro “molti di loro vivono come se la guerra non esistesse”.
Cella, invece, sottolinea che “tanti giovani russi – quasi un milione – sono scappati in Armenia o in Georgia per scappare al reclutamento nell’esercito”, in quanto “non tutti sono soldati pronti ad immolarsi nelle guerre di Putin”.
Il ruolo dell’Occidente
Il ruolo dell’Occidente – inteso come Stati Uniti d’America e Unione Europea – rispetto al conflitto russo-ucraino è stato finora di pieno sostegno sia dal punto di vista militare che umanitario. Tuttavia, qualcosa sta cambiando.
Come mette in luce Massoletti, infatti, “la mole degli aiuti va ad assottigliarsi”. Se Usa e Europa nel 2022 e nel 2023 hanno sostenuto Kiev con aiuti per 116 miliardi, allo stato attuale l’Ue ha previsto un pacchetto di aiuti da 50 miliardi da erogarsi tra il 2024 e il 2027 e gli Stati Uniti da appena 60. Fondi la cui erogazione, peraltro, non è stata ancora approvata dalla Camera dei rappresentanti a trazione repubblicana. “Una vittoria di Trump alle elezioni di novembre”, aggiunge Massoletti “potrebbe, inoltre, far venire meno il sostegno statunitense all’Ucraina”. Il tycoon, infatti, si è più volte dichiarato contrario al finanziamento dell’Ucraina e anzi ha recentemente invitato la Russia “ad attaccare i Paesi della Nato che non pagano i conti”.
“Senza l’aiuto di Washington”, spiega ancora Massoletti “non si sa se l’industria bellica europea riuscirà a sostenere l’Ucraina”.
Complesso è poi il ruolo giocato dalle sanzioni a carico della Russia, che, come evidenziato da molti analisti, impiegherebbero anni a incidere sulla vasta e ramificata economia russa. Sanzioni che, peraltro, come sottolinea Cuzzelli, “sono in gran parte aggirate”, facendo affidamento sulla collaborazione dei paesi al di fuori dell’asse occidentale come Cina e India.
Anche Cella concorda sulla parziale efficacia delle sanzioni e sul fatto che “non siano riuscite a mettere in crisi l’economia russa nel suo globale”.
Al momento sembra improbabile, poi, che l’Occidente possa porsi come mediatore diplomatico tra le due parti. L’unico intervento possibile del blocco occidentale, potrebbe mirare, secondo Cuzzelli, “a far entrare l’Ucraina in un sistema di sicurezza collettiva, in cui altri Stati si facciano garanti della sua indipendenza”.