Giornalisti sempre più alle prese con le fake news. È quanto emerge dal terzo rapporto dell’Osservatorio sul giornalismo approvato all’unanimità dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom), finalizzato a esaminare come il settore abbia reagito alla prova della pandemia: durante l’emergenza Covid, infatti, tre quarti dei redattori italiani si è imbattuto in casi di disinformazione. E non si tratta di episodi isolati: il 78 per cento di questi ha avuto a che fare con “bufale” almeno una volta a settimana, mentre il 22% addirittura una volta al giorno.
Ma nel mirino dell’Agcom è finita soprattutto la capacità dei giornalisti di individuare le notizie false. Vero è che il 62 per cento dei redattori ha utilizzato strumenti di verifica digitali delle notizie false, ma solo uno su cinque ha prodotto articoli di fact-checking e appena uno su dieci ha fatto live fact-checking durante le conferenze stampa.
Ma le fake news sono soltanto un aspetto del problema. Secondo l’Agcom, infatti, la salute della professione è ormai minata da un progressivo invecchiamento, dalla precarizzazione dei giornalisti e dalla mancata specializzazione in rami settoriali della professione. Per queste ragioni, l’Autorità, oltre che avviare una consultazione pubblica per far luce sulle condizioni di lavoro, ha deciso di intraprendere una serie di incontri con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all’Editoria Andrea Martella.
Sul tavolo la ricerca di soluzioni condivise per rilanciare la professione. Ma qualcosa a livello governativo si sta muovendo. La strategia del governo è quella di prendere parte dei soldi europei del Recovery Fund e destinarli al rinnovamento del mercato dell’editoria e dell’informazione. Per Martella occorre, infatti, un “credito d’imposta per digitalizzare le redazioni e per formare il personale, oltre che sostegno alla domanda di informazione”.