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HomeCultura La metafora dell’oro liquido e il ritorno al pre oil shock. Il sogno venduto da Trump

La metafora dell'oro liquido
e il ritorno al pre oil shock
il sogno venduto da Trump

Il mito della "città sulla collina"

Pastori: "La razionalità ha deluso"

03 Marzo 2025
età dell'oro

Gianluca Pastori, professore associato in Storia delle relazioni politiche tra il Nord America e l'Europa all'Università Cattolica di Milano

L’elemento identitario torna ad essere centrale nella politica statunitense e non solo. Gianluca Pastori, professore associato in Storia delle relazioni politiche tra il Nord America e l’Europa all’Università Cattolica di Milano, spiega a Lumsanews le ragioni socioeconomiche e culturali alla base della narrazione mitologica presidenziale. 

Perché Donald Trump ha deciso di improntare il proprio discorso d’insediamento sul concetto di età dell’oro?

“Trump ha parlato a tutti i delusi per la piega che la politica americana sta prendendo. Una politica presentata come basata su valori che non sono quelli originali degli Usa. Di fronte a un’America che si avvia verso un futuro sconosciuto e preoccupante, la promessa di tornare indietro, all’Età dell’oro, è quella che ha premiato Trump. È il grande sogno che ha voluto vendere”. 

Cosa c’è dietro il principio del “drill, baby, drill”? Perché Trump punta in maniera pervasiva sull’oro, sia dal punto di vista metaforico che non? 

“Questa insistenza di Trump sull’energia convenzionale è un delineare un’America pre oil shock, che poteva permettersi di consumare energia in maniera sconsiderata perché l’energia era qualcosa di, tutto sommato, economico. L’epoca d’oro è sotto questo punto di vista anche l’epoca d’oro dei consumi energetici. L’oro liquido è una metafora, è la ricchezza che gli Usa devono saper sfruttare, o meglio, che la politica deve mettere gli Usa in grado di sfruttare”.

Come leggere le scelte degli Usa in materia di politica estera, in relazione a una nuova età dell’oro statunitense? Come spiega questa tensione espansionistica volta a un’autarchia mineraria e, di conseguenza, energetica?

“Donald Trump non ha nascosto, neanche negli anni del primo mandato, che una delle sue ambizioni sia il reshoring, cioè il portare in casa tutte le produzioni che può. Per poter fare reshoring, gli Usa hanno bisogno di risorse. Il petrolio ce l’hanno in casa, così come il gas. Le altre devono procurarsele e l’accordo con l’Ucraina sulle terre rare si muove in questa direzione, con una strizzata d’occhio alla logica economicistica da parte di Trump. È l’idea della politica estera gestita come una transazione commerciale”. 

Trump si definisce “pacificatore e unificatore”. È un’affermazione che potrebbe suscitare qualche perplessità, viste le mire mai celate dello stesso presidente. Perché il tycoon vuole dare questa immagine di sé? A quale immaginario punta? Che ruolo esercita il mito della “città sulla collina”? 

“È vero che Trump si è sempre vantato di non aver mai fatto guerre. Ma, se andiamo a vedere il record della prima amministrazione Trump, ci rendiamo conto che così pacificatore non è stato. Il riferimento alla “città sulla collina” è costante nella retorica politica statunitense. Ma attenzione, perché può essere a doppio taglio. Se andiamo a vedere i testi presidenziali americani, il concetto di “città sulla collina” è stato utilizzato per giustificare sia l’isolazionismo che l’interventismo, nonché il messianismo statunitense. “Proprio perché noi siamo la città sulla collina, dobbiamo esportare il nostro modello, coinvolgerci, sporcarci le mani con gli affari del mondo”.

In merito alle politiche sociali, che forma ha la società che Trump immagina per la nuova Età dell’oro statunitense? 

“Si parla di un’America colorblind che rilancia il mito del melting pot, che punta sul mito delle opportunità che sono di chi le sa cogliere, indipendentemente che si parli di un americano bianco, immigrato, ispanico ecc. A una condizione però: che questi americani accettino le regole del gioco americano, un gioco dominato in qualche modo dalla componente bianca della popolazione. Che il voto repubblicano sia sempre più aperto alle minoranze, non è qualcosa che ha scoperto Trump. È una questione di cui si dibatte già dall’epoca dell’elezione di George W. Bush”. 

Dopo stagioni politiche che hanno fatto della razionalità logica il proprio caposaldo, sembra che il mito stia tornando prepotentemente in veste di narrazione irrazionale, basata sulla riemersione dei presunti fasti del passato. Cosa può dirci in merito? 

“Viviamo in un’epoca in cui la razionalità ha deluso e difronte alla delusione della razionalità, il valore, l’elemento identitario torna ad essere centrale. Molti degli elettori di Trump non sono suoi elettori, ma suoi tifosi. Scelgono Trump perché tocca delle corde identitarie. Io scelgo Trump perché mi assomiglia”.

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