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La lunga strada per il Paradiso. Finita di restaurare dopo 34 anni la Porta del Ghiberti: dall’8 settembre in esposizione

di Fabio Grazzini25 Settembre 2012
25 Settembre 2012

Ci sono voluti 34 anni per riportarla all’antico splendore, ben sette in più rispetto al tempo impiegato da Lorenzo Ghiberti per costruirla, ma dall’8 settembre la Porta del Paradiso è di nuovo visibile a fedeli e turisti. Situate all’interno del Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, protette da una teca contenente aria deumidificata per meglio preservarle, le due ante bronzee della porta est del Battistero del capoluogo toscano mostrano oggi lo stesso aspetto che spinse Michelangelo a dichiarare che «elle son tanto belle che elle starebbon bene alle porte del Paradiso».
Ma come è possibile che per portare a termine questo restauro ci sia voluto così tanto tempo? La risposta ha cause molteplici riguardanti da un lato le tecniche di riparazione a disposizione in determinati anni e dall’altro la conoscenza sempre più approfondita, in fieri, sia della natura chimica che dell’architettura della porta (delicata la prima, articolata la seconda); terzo aspetto poi, che ha contribuito ha rallentare i lavori, è stato infine rappresentato dalla penuria di restauratori a disposizione dell’Opificio delle Pietre Dure, che si è occupato del restauro a partire dal 1978.

L’indagine diagnostica, la pausa di anni, e le resistenze della porta. Ma andiamo con ordine: il primo intervento alla porta, firmato Bruno Bearzi, risale infatti al 1966, anno in cui le acque dell’Arno, invase le vie di Firenze, si abbattono impetuose sui battenti del Ghiberti facendo saltare sei dei dieci pannelli in bronzo dorato rappresentanti scene dell’Antico Testamento, gli elementi principali della porta. Subito messe in salvo e riavvitate velocemente ai loro sostegni le sei piastrelle restano in compagnia della altre fino al 1978, quando l’Opificio, a causa del deterioramento dovuto all’inquinamento, decide di fare un’indagine diagnostica dell’opera. Studio che, avendo accertato oltre alle incrostazioni superficiali la presenza di sali instabili prodotti dal contatto tra bronzo e oro danneggianti la patina aurea, conduce alla decisione di restaurare, lungo tutto il corso degli anni ’80, i pannelli distaccati pulendoli uno dopo l’altro con una soluzione neutra di sali di Rochelle (tartrato di potassio).
La porta però necessita di un restauro globale e nel ’90, dopo aver cercato di rimandare il più possibile il trasferimento, viene smontata dal Battistero, sostituita con una copia, e portata nei laboratori dell’Opificio. Dopo una pausa di sei anni dovuta a sopraggiunti lavori nel settore dei bronzi che richiedono in maniera esclusiva il lavoro dei suoi due soli restauratori, finalmente, tra il 1996 e il 2000, l’Opificio – con l’obiettivo di lavare anch’essi con i sali di Rochelle  – riesce a sfilare dal telaio in bronzo i quattro pannelli non portati via dall’alluvione e otto elementi del fregio, anch’esso dorato; lavoro fondamentalmente di trazione che si svolge con estrema difficoltà e premura. L’ultima direttrice del restauro, Annamaria Giusti, che ha guidato i lavori dal 1996 a oggi, giustifica infatti il profluvio di energie speso per la rimozione dei dodici elementi con l’ingegnosità propria della porta, «una macchina complessa e perfetta, realizzata con una perizia senza precedenti e mai eguagliata. Basti d’altronde pensare – aggiunge la Direttrice − che per estrarre dal proprio alveo il pannello più ostico abbiamo impiegato circa sei mesi».

Il laser del Cnr e l’annosa mancanza di personale. Con il 2000 per il restauro arriva quindi, grazie all’impegno dell’Istituto di Fisica applicata del Cnr, la svolta. Una svolta tecnologica favorita dalla messa a punto di un nuovo laser capace di agire sull’oro dei rilievi senza permettere che il calore si propaghi al bronzo. In questo modo, non dovendo più estrarre tutti e 48 i fregi, il lavoro di risanamento della porta procede più spedito, contestualmente a quello – sempre faticosissimo – di reinserimento dei dodici rilievi estratti per il lavaggio chimico. «Si tenga comunque conto – sottolinea Annamaria Giusti – che il diametro del laser era meno di un millimetro, e che il nostro è stato un lavoro meticolosissimo che ha dovuto affrontare danni microscopici. Inoltre la pulitura dei battenti in bronzo ha richiesto strumenti diversi rispetto ai rilievi dorati: abbiamo utilizzato infatti spazzolini e rotini meccanici che hanno implicato modalità e tempi di lavoro a loro propri».
Oltre alla sospensione di sei anni intercorsa negli anni ’90 la dottoressa Giusti ricorda poi come anche sotto la sua direzione si siano avute diverse interruzioni dovute al sopraggiungere di altri interventi, «come ad esempio quello sulla statua di San Matteo del Ghiberti, in una delle nicchie esterne della chiesa di Orsanmichele, la quale, per un periodo, è entrata in competizione con la Porta del Paradiso. Certo che se al settore bronzi potessimo contare su un maggior numero di restauratori non ci sarebbe più bisogno di interrompere lavori precedentemente iniziati a favore di altri più recenti: penso infatti che il numero ottimale per evitare rallentamenti di questo tipo sia di sei persone, quattro in più rispetto ad adesso».

 
Fabio Grazzini

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