Negli ultimi anni, complici le cadute dei Califfati in altri Paesi, lo Stato islamico ha iniziato una sanguinosa guerriglia contro l’esercito del Puntland. Luciano Pollichieni, analista della Fondazione Med-Or ed esperto di Sahel e Corno d’Africa, racconta a Lumsanews l’attuale situazione politico-militare della Somalia.
Come si è organizzato lo Stato Islamico in Somalia?
“Tra il 2013 e il 2015, quando si è consumata la scissione tra lo Stato islamico e al-Qaeda, alcuni gruppi africani hanno deciso di aderire al Califfato. Lo Stato islamico divenne, dunque, un polo alternativo a cui aderirono tutti quei gruppi jihadisti che non erano contenti della gestione degli affari da parte della leadership centrale. Un processo di frammentazione avvenuto su base opportunistiche più che teologiche, che ha dato il via alla guerriglia tuttora in corso nel Puntland”.
Qual è l’attuale situazione politica della Somalia?
“La Somalia ha un governo federale. Dal 1993, con la caduta del regime di Mohammed Siad Barre, sono collassate le istituzioni statali. Da quel momento il Paese è precipitato in una guerra civile particolarmente cruenta, che con l’Unione delle Corti islamiche nei primi anni 2000 ha preso le tinte dell’insurrezione jihadista.
Inizialmente, attorno al 2015, lo Stato islamico viene agevolmente sconfitto dall’esercito regolare e costretto a ritirarsi sulle montagne. Negli ultimi anni, complici le cadute dei Califfati in altri Paesi, la filiale somala ha cominciato ad avere un peso maggiore nei ranghi dello Stato islamico”.
Perché la nuova amministrazione americana, che sta promuovendo il disimpegno militare al di fuori dei propri confini, ha scelto le grotte della Somalia occidentale come primo bersaglio militare?
“Durante il precedente mandato, Trump ha parzialmente ritirato la presenza americana dalla Somalia, mentre ora il Paese è tornato nella lista delle priorità di Washington, come principale teatro della lotta al terrorismo. Già nel manifesto elettorale non ufficiale di Trump, il ‘Project 2025’, viene citata la necessità di mantenere l’impegno statunitense in Africa, anche se alcune figure di spicco dell’entourage del presidente americano rimangono scettiche”.
In un ampio articolo del Washington Post, dello scorso 12 febbraio, sono presenti testimonianze di combattenti dello Stato islamico in Somalia, che dichiarano di essere stati reclutati nei loro Paesi d’origine con la falsa promessa di un lavoro migliore lontano da casa. È una tecnica tipica dello Stato islamico o è una novità da tenere d’occhio?
“È probabile che queste dichiarazioni siano falsi alibi utilizzati dai miliziani jihadisti per evitare di essere condannati per terrorismo. Sicuro è che le organizzazioni reclutano forze da altri Paesi per avere personale specializzato, in particolare per il pilotaggio di droni”.
Quale futuro si prospetta per la Somalia?
“L’attuale amministrazione di Hassan Sheikh Muhammad ha ottenuto alcuni ottimi risultati: due terzi del debito statale è stato cancellato, la Banca mondiale ha finanziato un importante progetto di elettrificazione e l’Onu ha reintegrato la Somalia nel consiglio di Sicurezza, per la prima volta dagli anni ‘70. Ma affinché il governo vinca definitivamente la lotta contro lo Stato islamico deve dimostrarsi capace di controllare il territorio e di far funzionare le istituzioni statali. Fino a quando la popolazione percepirà i gruppi jihadisti come più efficienti, la guerra continuerà”.