La prima bomba l’aveva sganciata Luigi Zanda, capo gruppo Pd al Senato, subito dopo le dimissioni congelate di Matteo Renzi. «Le dimissioni sono una cosa seria, o si danno o non si danno. E quando si decide, si danno senza manovre». La formula utilizzata dal segretario ha fatto storcere il naso alla base democratica, e Zanda non parlava a titolo personale.
La frattura– Il più arrabbiato di tutti è Paolo Gentiloni. Al Presidente del Consiglio non è andato giù il riferimento a una campagna elettorale troppo “tecnica” voluta, secondo Renzi, proprio da Gentiloni, e il giudizio sul suo governo, bollato come un errore. L’accenno al «caminetto» per la scelta del nuovo segretario e la fermezza con cui Renzi ha negato qualsiasi tipo di inciucio con il Movimento Cinque Stelle hanno poi fatto il resto. Gentiloni non ci sta a passare per mercante da accordi sottobanco e lo ha detto chiaramente ai suoi ministri. Sulla barca di Gentiloni infatti sono saliti anche Dario Franceschini, che vuole tentare di riallacciare i rapporti con il Quirinale, Marco Minniti, sconfitto a Pesaro, Graziano Delrio e Maurizio Martina. Tutti poco convinti dell’uscita controllata di Renzi, e desiderosi di aprire una fase completamente nuova.
I nomi– La sensazione che questo lavoro ai fianchi stia pagando. I renziani di ferro sembrano sempre più in minoranza. Lo prova l’annuncio, pochi minuti fa, delle dimissioni della segretaria nazionale Debora Serracchiani, che ha perso, da presidente del Friuli Venezia Giulia, a Trieste. In pole per la successione alla segreteria ci sono Gentiloni, Martina, Delrio e Nicola Zingaretti, riconfermato alla guida del Lazio. Gli outsider però ci sono. Il primo è Carlo Calenda, ministro per lo sviluppo economico che questa mattina si è iscritto al Pd confermando la volontà di risollevare il partito dell’interno. Motivo per cui è stato ringraziato da Gentiloni. Il secondo invece è Andrea Orlando, che nei confronti di Renzi è stato ancor più duro, accusandolo di aver gestito «in modo pressoché solitario linea, organigrammi e candidature».
Non bisogna fare un altro partito ma lavorare per risollevare quello che c’è. Domani mi vado ad iscrivere al @pdnetwork. https://t.co/5Jem2aDZfO
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) 6 marzo 2018