Fabrizio Ravanelli è un ex attaccante italiano. Bomber di razza, ha sempre fatto le fortune di tutte le squadre in cui ha giocato. Nel suo palmares può vantare due scudetti, due Supercoppe, due Coppe Italia, una Coppa Uefa e una Champions League. Nel 1997 con il Middlesbrough ha sfiorato il successo in Fa Cup e Coppa di Lega, perdendo in finale in entrambe le competizioni.
Quali sono le differenze sostanziali tra la Fa Cup e la Coppa Italia? Perché la prima ha molto seguito e l’altra no?
“La differenza sostanziale è che la Fa Cup viene giocata da moltissime squadre a partire dalle categorie dilettantistiche, mentre invece la Coppa Italia viene giocata solo dai club professionistici. Il modo di intendere la manifestazione da parte dei club inglesi è molto diverso da quello italiano: per loro è importante allo stesso livello della Premier League e le squadre delle leghe inferiori, data l’importanza mediatica e la storicità della competizione, la usano come vetrina. Tant’è vero che nella Fa Cup si vedono molti più risultati inaspettati rispetto che in Coppa Italia e ci sono molti più turni da giocare”.
Con riferimento all’era pre-Covid, pesa sicuramente l’inversione di campo, che in Inghilterra dà un vantaggio a chi sulla carta è meno competitivo.
“In Italia si inizia a dare importanza alla competizione soltanto dalla semifinale in poi e si preferisce attuare molto turnover nei turni precedenti, anche perché la maggior parte delle squadre che vanno avanti sono le stesse che si giocano le coppe europee, per poi concentrarsi veramente nelle fasi finali. L’altra differenza sostanziale è che le squadre della Premier non sono avvantaggiate come quelle di serie A, che giocano gli ottavi di finale in casa. Inoltre si può benissimo dire che anche i tifosi delle squadre inglesi sentano molto di più la partita rispetto ai tifosi italiani e questo sicuramente caratterizza la spettacolarità dell’evento”.
Sul fronte stadi, perché in Italia siamo ancora così tanto indietro nella costruzione e in Inghilterra tutte le squadre, anche quelle semi-professionistiche, possiedono uno stadio di proprietà?
“La differenza sostanziale è sicuramente una questione politica. In Inghilterra c’è molta meno burocrazia e se vuoi realizzare uno stadio lo puoi fare in tempi brevi e sei incentivato a farlo. In Italia invece ci sono squadre come Roma o Lazio che hanno dei progetti pronti da tanti anni, ma che non riescono a realizzarlo per via di mille vicissitudini. Aggiungo che gli inglesi a partire dal 1990, nel giro di una quindicina d’anni, hanno tirato su impianti che noi per ora possiamo solamente sognare, sia come stadio principale che a livello di centri di allenamento”.