La crisi tra Iran e Occidente, per gli attacchi ai siti petroliferi sauditi del 14 settembre scorso, si inasprisce. Di questa mattina le dichiarazioni del primo ministro britannico Boris Johnson, in viaggio verso New York per l’assemblea generale dell’Onu: “La responsabilità per l’attacco all’Arabia Saudita è molto probabilmente da attribuire all’Iran”. Johnson ha poi aggiunto che i britannici potrebbero contribuire agli sforzi militari degli Usa nel Golfo, dove invieranno altre truppe.
Dura la posizione degli Stati Uniti. Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha affermato che se una soluzione diplomatica con l’Iran non avrà successo “il presidente Trump assumerà le decisioni necessarie”, definendo l’attacco agli impianti petroliferi dell’Arabia Saudita un “attacco all’Iran e al mondo” e un “atto di guerra”.
Per ora, comunque, il presidente americano ha movimentato la Quinta Flotta nel Golfo e promesso ai sauditi l’invio di alcune batterie anti missili appoggiate da poche centinaia di militari.
Se da una parte i ribelli Houthi, alleati di Teheran in Yemen, rivendicano gli attacchi, dall’altra il presidente iraniano Hassan Rouhani continua a negare il suo coinvolgimento, invitando gli americani a lasciare la regione. Nel frattempo arriva un segnale dall’Iran. Il portavoce del governo di Teheran, Ali Rabiei, ha reso noto che la petroliera britannica Stena Inpero, sequestrata dai Pasdaran a luglio, è libera di muoversi e quindi di lasciare l’Iran, spiegando che le procedure legali e burocratiche relative al suo rilascio sono state completate. Un gesto di “pace” forse volto ad ammorbidire le posizioni britanniche.
Intanto i prezzi del petrolio vanno alle stelle. Il WTI del Texas aumenta dell’1,07% a 58,75 dollari al barile, mentre il Brent del Mare del Nord guadagna quasi 5 punti percentuali a 63,61 dollari.