Gli studi sulla produzione della carne coltivata continuano incessantemente. In alcuni Paesi è già stata avviata la produzione e la commercializzazione di questo prodotto. In Italia, invece, la situazione è completamente diversa. Il governo ha infatti deciso di vietare la produzione e la commercializzazione di carne coltivata. Per comprendere meglio che cos’è la carne coltivata – e quali possono essere i risvolti futuri – abbiamo intervistato Nike Schiavo, ricercatrice e biotecnologa dell’Università di Trento e collaboratrice di Bruno Cell, startup italiana che studia la produzione di carne coltivata.
Può spiegarci come avviene, in sintesi, il processo di produzione della carne coltivata?
“Si parte dal prelevare un campione di cellule animali attraverso una biopsia, ovvero una puntura di circa 500 mg di cellule. Queste vengono cresciute e ottimizzate in un setup laboratoriale. In genere vengono scelte le cellule che crescono più velocemente. Alle cellule viene poi somministrato un liquido nutritivo – chiamato anche medium o brodo di coltura – composto da zuccheri, vitamine, aminoacidi, grassi e micronutrienti. In questo modo le cellule sono in grado di duplicarsi. Una volta ottenuta questa massa di cellule – che crescono all’interno di un bioreattore – si cerca di farle differenziare, ovvero dar loro degli input. In questo modo le cellule diventano fibre muscolari o tessuto adiposo”.
Quale è il compito di un bioreattore?
“I bioreattori, o fermentatori, sono delle specie di bussolotti che hanno la funzione di favorire lo scambio di gas e mescolano tutti gli “ingredienti” del medium. Questo per far sì che tutte le cellule abbiano un giusto apporto di nutrienti. Il bioreattore, inoltre, riscalda l’ammasso di liquido di cellule ottenuto per mantenere la temperatura adatta per la proliferazione delle stesse. In altri termini, il bioreattore va a sostituire quello che è il sistema circolatorio e respiratorio che qualsiasi animale ha. I bioreattori vengono utilizzati anche per prodotti come la birra o lo yogurt”.
Cosa si fa una volta che si ottiene il prodotto finito?
“Al momento, si integrano le cellule in un prodotto di tipo plant-based. Tutti i prodotti che sono adesso in commercio negli Stati Uniti e a Singapore hanno una componente di carne coltivata e una vegetale. Questo perché attualmente i costi per produrre interamente un prodotto di carne coltivata non sono accessibili per i consumatori”.
È giusto chiamare questo prodotto con la denominazione “carne sintetica”?
“In Italia ha preso piede l’espressione “carne sintetica” che è del tutto sbagliata. Fuori dal nostro Paese nessuno utilizza questa denominazione. Chi lavora in questo settore non la chiama in questo modo. Si tratta più che altro di una questione derivante da linee politiche che si sono sviluppate in tempi recenti. L’espressione è errata anche dal punto di vista lessicale. Per sintetico si intende un qualcosa ottenuto per sintesi chimica. La carne coltivata deriva invece da un processo di coltivazione delle cellule ed è un processo biologico”.
Quali vantaggi porterebbe la produzione della carne coltivata?
“Tra i vantaggi, le analisi di sostenibilità – conosciute anche come analisi del ciclo di vita – sono abbastanza uniformi nell’indicare la carne coltivata come prodotto più sostenibile. Questo perché si ha un risparmio di terra, di energia e minori produzioni di CO2. Non è ancora chiaro se il consumo d’acqua sarà minore rispetto al consumo che se ne fa attualmente. A mio avviso si potrebbe parlare di aspetti vantaggiosi anche per quanto riguarda la sicurezza: il processo di produzione di carne coltivata è strettamente regolato e controllato”.
Senza dimenticare il problema degli allevamenti intensivi.
“Il fatto di non avere un grande numero di animali in spazi ristretti è un altro dei grandi vantaggi. Limitando gli allevamenti intensivi si riduce anche l’uso degli antibiotici. Questi favoriscono la proliferazione dei batteri antibiotico-resistenti che sono un problema per l’uomo. Inoltre, si va a limitare il rischio di sviluppo di malattie che dall’animale possono colpire anche l’essere umano. Il caso del Covid ne è una dimostrazione”.
Quali potrebbero essere invece gli svantaggi?
“Gli studi sono in continua evoluzione. Ad esempio, non è ancora chiaro se questo prodotto sarà un cibo per “ricchi o poveri”. E la distinzione non vale solo per i Paesi, ma anche per gli abitanti di una singola nazione. Non abbiamo al momento una risposta per dire se la carne coltivata sarà un prodotto accessibile a tutti”.
La decisione del governo italiano di vietare la produzione di carne sintetica rischia di avere delle ripercussioni negative per la ricerca italiana?
“Il fatto che un prodotto venga “bandito” dalla produzione e dalla commercializzazione potrebbe allontanare gli investitori, sia italiani che stranieri. L’altro problema è che non vedremo fondi pubblici che possano finanziare questo tipo di attività di ricerca. Se la ricerca non è pubblica la tecnologia rimane solo in mano a chi ha i mezzi e i soldi per svilupparla. Se la commercializzazione di questi prodotti – che in Italia è stata vietata – verrà approvata all’interno dell’Unione Europea nasceranno problemi a livello legislativo”.