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Kobane ancora sotto assedio. Perso il quartier generale, ma la resistenza continua

di Renato Paone15 Ottobre 2014
15 Ottobre 2014

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«Evitare un massacro di civili a Kobane»: questo l’appello lanciato stamane dal Segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, che si è detto preoccupato delle «migliaia di vite a rischio» dopo la conquista da parte del gruppo jihadista dello Stato Islamico del quartier generale presidiato da Narin Afrin, la combattente curda a capo dell’Unità di protezione del popolo curdo (Ypg). Al momento, dopo quattro settimane d’assedio, la piazza centrale della cittadina sarebbe ancora al sicuro. Ma per le milizie del califfato, la presa di Kobane riveste un’importanza cruciale, come sottolineato da Rami Abdel Rahmane, direttore dell’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, in quanto «se non dovessero conquistarla non gioverebbe di certo alla propaganda jihadista». E questa è proprio la speranza della cittadina al confine con la Turchia, che auspica un intervento della coalizione volto ad arrestare e respingere gli jihadisti: «Penso –  ha dichiarato il funzionario locale Idris Nassan –  che gli americani e i Paesi europei non abbandoneranno Kobane perché, se dovesse cadere, cadranno anche la democrazia, i valori umani e tutte le cose buone dell’area».

La doccia fredda per le speranze curde arriva, però, proprio dal Segretario di stato statunitense John Kerry, il quale ha affermato che l’attuale situazione di Kobane, seppur tragica, non rientra nella strategia delle operazioni contro l’Is: «Abbiamo detto sin dall’inizio che ci sarebbe voluto del tempo per portare la coalizione internazionale a operare al massimo e per rimettere in sesto l’esercito iracheno. La nostra priorità è l’Iraq. È questa la strategia attuale». Non è dello stesso parere il capo di Stato maggiore interforze Usa, il generale Martin Dempsey, che ha raccontato all’emittente americana Abc, del rischio corso con il tentativo di conquista da parte degli jihadisti dell’aeroporto di Baghdad, respinti solo grazie all’intervento degli elicotteri Usa, che hanno costretto i miliziani a ritirarsi e ad arrestarsi a 25 chilometri dal centro della città. Proprio per questo, il generale ha insistito sulla necessità di un ruolo «più attivo e diretto» delle forze speciali americane, evocando un coinvolgimento terrestre che tuttavia il presidente Barack Obama continua a escludere, in forza della diffusa convinzione a Washington che Baghdad non corra il rischio di capitolare: «Le forze di sicurezza irachene – ha detto il segretario della Difesa americano, Chuck Hagel -, coadiuvate dai consiglieri militari Usa, sono in pieno controllo della città».

Nel frattempo, la battaglia si svolge anche sul campo mediatico: sulla copertina della rivista online dello Stato Islamico, Dabiq, su cui campeggia a caratteri cubitali il titolo “Crociata fallita”, sventola la bandiera nera del califfato issata sull’obelisco di piazza San Pietro, evidente riferimento agli attacchi aerei condotti della coalizione contro di loro.

Renato Paone

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