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Italiane in Champions League, storia di un fallimento

di Valerio Albertini30 Marzo 2021
30 Marzo 2021
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Players of FC Porto celebrate the victory at the end of the round of 16 Uefa Champions League soccer match Juventus FC vs FC Porto at the Allianz stadium in Turin, Italy, 9 March 2021 ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

22 maggio 2010. L’Inter alza al cielo di Madrid la Champions League battendo in finale il Bayern Monaco. Per la terza volta negli anni 2000, una squadra italiana solleva la coppa dalle grandi orecchie.

Da quel giorno di quasi undici anni fa, nessun’altra è riuscita a vincerla. Non solo, quest’anno, per la prima volta dopo cinque stagioni, l’Italia non avrà nessuna società a rappresentarla ai quarti di finale della massima competizione europea. Nelle scorse quattro edizioni del torneo hanno trionfato due team spagnoli, uno inglese e uno tedesco, mentre quest’anno a contendersi il trofeo saranno tre club inglesi, due tedeschi, uno spagnolo, uno francese e uno portoghese.

Il miglior risultato ottenuto dalle squadre italiane in Champions League nell’ultimo lustro è rappresentato dalla finale persa dalla Juventus contro il Real Madrid nel 2017. Meglio di noi ha fatto l’Inghilterra, che ha mandato in finale tre squadre, con la particolarità dell’edizione 2019, quando a contendersi il titolo furono Liverpool e Tottenham. I club spagnoli hanno partecipato a due finali, vincendole entrambe. Un risultato migliore rispetto al nostro l’ha ottenuto anche la Germania, con il Bayern Monaco che ha giocato una sola finale, ma l’ha vinta. Al nostro stesso livello, infine, il campionato francese: il Psg, come la Juventus, ha perso l’unica finale disputata.

Allargando il campo, le squadre italiane si sono fermate una sola volta alle semifinali, dato minore rispetto a quello di tedesche, spagnole e francesi, che le hanno raggiunte due volte. Ai quarti di finale siamo usciti in tre occasioni, meglio delle due presenze tedesche, ma peggio rispetto a Inghilterra e Spagna, i cui team sono entrati per cinque volte tra le migliori otto squadre d’Europa. Al primo scoglio della fase a eliminazione diretta, invece, ci siamo fermati in sette casi, come la Germania, ma meno rispetto alle otto partecipazioni inglesi e spagnole.

Il dato più indicativo è il numero di volte in cui le nostre squadre si sono fermate ai gironi: sono cinque come la Germania, numero più basso rispetto alle sei della Francia, ma decisamente troppo alto se confrontato alle due di Inghilterra e Spagna. Per completezza, va detto che in due delle ultime cinque edizioni siamo stati rappresentati soltanto da tre squadre, al contrario delle quattro che hanno potuto schierare Germania, Spagna e Inghilterra. La Francia, invece, ne ha sempre avute tre.

Confrontando i dati, dunque, appare chiaro come, negli ultimi cinque anni, la Serie A sia stata rappresentata in Europa in modo peggiore rispetto a Premier League, Liga e Bundesliga. Tra i primi cinque campionati europei, abbiamo fatto meglio solo della Ligue 1.

Le ragioni del fallimento sono allo stesso tempo di ordine tecnico, finanziario e socio-culturale.
Per quanto riguarda la qualità delle rose delle nostre squadre di vertice, secondo Salvatore Sullo, viceallenatore della Nazionale tra il 2016 e il 2017, “i giocatori migliori non sono in Italia”. A confermarlo, il 319° report settimanale del CIES Football Observatory, nella cui lista semestrale dei calciatori dei cinque principali campionati europei con il maggior valore di mercato il primo “italiano” a comparire è Hakimi, soltanto in sedicesima posizione. La top ten è dominata dalla Premier League, in cui militano cinque calciatori tra cui il primatista Rashford, seguita dai tre rappresentanti della Bundesliga. A quota uno, infine, Spagna e Francia.

Dino Zoff, campione del mondo con l’Italia nel 1982, dice a Lumsanews che “le nostre squadre non riescono a prendere i ritmi a cui si gioca in campo internazionale”. Il problema, dunque, riguarda la differenza di velocità alla quale si gioca in Italia, rispetto al resto d’Europa. Secondo Zoff, inoltre, più che una mentalità improntata all’attacco, dal punto di vista tattico “ciò che è fondamentale è l’equilibrio tra la fase offensiva e quella difensiva”.

Per quanto riguarda il lato finanziario, è interessante notare come la Juventus abbia sempre speso e incassato di più sul mercato rispetto ai club che hanno alzato la coppa nelle ultime quattro edizioni. In particolare, secondo quanto riporta transfermarkt.com, dal 2016 a oggi la società bianconera ha investito circa 943 milioni di euro, a fronte di un introito di circa 743 milioni, per un saldo complessivo negativo di circa 200 milioni. La vera differenza tra le squadre italiane e quelle degli altri quattro principali campionati europei riguarda il numero di operazioni effettuate: ad esempio la Juventus ne ha portate a termine circa venti a stagione fino al 2019/20, a fronte delle sole nove che in media hanno effettuato le ultime quattro squadre vincitrici.

La disparità è figlia della necessità dei nostri club di mettere a bilancio delle plusvalenze che, come ricorda Marco Bellinazzo, giornalista del Sole 24 Ore, “sono diventate la seconda voce di entrata dei club italiani dopo i diritti tv”.

L’ultimo aspetto della debacle riguarda il mancato investimento sui giovani dei club italiani. In un rapporto del CIES sui giovani calciatori dei cinque maggiori campionati europei con il valore di mercato più alto, l’unico “italiano” a comparire nella top ten è Kulusevski, a fronte di quattro giocatori che militano in Inghilterra, tre in Germania e due in Francia. Lo stesso istituto mostra come il primo club italiano per talent scouting, ovvero il Milan, sia solo al ventunesimo posto tra le squadre delle top league. I rossoneri sono una piacevole eccezione in Italia, essendo in media la squadra più giovane nei cinque maggiori campionati europei. Il dato sui club che hanno formato il maggior numero di giocatori non ci dà conforto: l’Atalanta, prima in Italia con venti giocatori formati, non entra nemmeno nella top ten, occupata da cinque club spagnoli, tre francesi e due inglesi.

Sullo, infine, afferma che “l’Italia ha un gap con gli altri paesi europei per quanto riguarda lo sport nelle scuole”, ricordandoci come alla base del fallimento italiano in Europa ci sia anche un problema socio-culturale.

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