“Do ut des”, dicevano i latini. Io do affinché tu dia. Il 29 maggio la Commissione europea fermerà la procedura di infrazione per deficit eccessivo aperta nel 2009 nei confronti dell’Italia. Ma a quale prezzo? Una partita giocata nei palazzi di Bruxelles tutta fra Italia e Unione Europea. Ormai mancano sei giorni ma l’Italia è stata già “assolta”? La cosa viene data quasi per certa in ambienti diplomatici. “Sulla procedura prevedo che si vada verso una soluzione positiva”, lo sosteneva solo tre giorni fa il vice presidente della Commissione europea, Antonio Tajani dopo un incontro con il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni a Roma.
L’attesa. Ma in realtà niente è stato ancora concordato, solo dal 26 maggio in poi si entrerà nella fase decisiva del negoziato. Certo, la prospettiva del “perdono” per l’Italia rimane la più attendibile a patto che si garantisca il rispetto delle regole. Se è vero che nel 2013 e nel 2014 dovremmo restare sotto il tetto del 3%, di deficit fissato dal Patto di Stabilità, il problema è che tutti gli altri fondamentali della nostra economia lasciano poche speranze: disoccupazione in aumento, debito al galoppo, crescita al palo. E, senza crescita, con meno lavoro, le entrate non aumenteranno di sicuro.
Ancora garanzie. Così l’Europa continua a chiedere garanzie all’Italia che è possibile individuare in sei punti cardine: competitività, sostenibilità finanziaria esterna, serrato controllo dell’indebitamento sia pubblico che privato, controllo serrato sui mutui immobiliari, maggiore efficienza della giustizia civile e puntualità dello Stato nei pagamenti alle imprese. Eppure quello che l’Europa diceva un anno fa sull’Italia, nonostante la riduzione del deficit, rimane ancora valido: “Un Paese ancora vulnerabile a improvvisi cambiamenti del sentimento dei mercati”. Proprio per questo motivo Bruxelles insiste ancora su ulteriori garanzie. Ma l’Italia, come ha dichiarato ieri il permier Letta, prima del Consiglio europeo, “va con la schiena dritta a trattare nel nome degli interessi del nostro Paese. La sorte dell’Italia e quella dell’Europa – ha continuato il premier – è inevitabilmente collegata, due destini che si uniscono. La priorità per il governo – ha concluso – è uscire dalla procedura di deficit eccessivo. Sarebbe un segnale importantissimo. L’Ue non sia una gabbia, ma un aiuto per la crescita”.
Alessandro Filippelli