Il governo non arretra sull’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil. Ieri sera Mario Draghi, dopo un faccia a faccia turbolento con il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte, è salito al Quirinale con l’intenzione di riferire al Presidente della Repubblica i malumori all’interno della maggioranza e trovare una possibile sponda. Tra Mattarella e Draghi c’è intesa e il premier esce dal colloquio con il sostegno del Capo dello Stato. Le tensioni con i pentastellati sono dovute al decreto Ucraina, approvato alla Camera e ora al vaglio del Senato.
Giuseppe Conte, dopo una prima sottoscrizione alla Camera, ha fatto retromarcia annunciando il voto contrario allo stesso ordine del giorno ora a Palazzo Madama. Sul decreto Ucraina, che tra le altre cose prevede incrementi straordinari della spesa militare, “abbiamo valutazioni diverse”. Così il presidente 5 Stelle Conte ha commentato l’esito dell’incontro avvenuto ieri nel tardo pomeriggio con Draghi. L’ex premier afferma però di non aver mai messo in discussione l’accordo con la Nato. Un punto, questo, che sta particolarmente a cuore al presidente del Consiglio per il quale “non possono essere messi in discussione gli impegni assunti”. “Se ciò avvenisse – ha ribadito Draghi – verrebbe meno il patto che tiene in piedi la maggioranza”.
Da qui la necessità per l’ex presidente della Banca centrale europea di andare a riferire a Sergio Mattarella le divergenze con la prima forza parlamentare della maggioranza. Qualora infatti il Movimento 5 Stelle dovesse ribadire la sua propria contrarietà sull’aumento delle spese militari, il governo rischierebbe di trovarsi alla fine della corsa. Giuseppe Conte, informato dell’incontro tra Draghi e Mattarella, ha allontanato da sé l’accusa di aver sollevato una crisi di governo. “Dico solo – si giustifica – che se dobbiamo programmare una spesa militare un partito di maggioranza può discutere i termini anche temporali per rispettare questo impegno”.
Sul decreto Ucraina e sull’ordine del giorno si voterà in Senato domani. Ma la scelta di porre la questione di fiducia potrebbe sconvolgere l’equilibrio dell’attuale unità dei partiti di maggioranza.