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Instabilità per le famiglie e le imprese. Ma c’è ancora fiducia nel governo Renzi

di Renato Paone29 Aprile 2014
29 Aprile 2014

chiuso-fallimentoPrecarietà e instabilità, questi i sentimenti che affliggono otto famiglie italiane su dieci secondo i dati emersi dall’outlook di Confcommercio-Censis su consumi e clima di fiducia del primo semestre 2014. Fra queste solo una su cinque «ritiene di essere in una situazione di solidità». Stabilità legata a un miglioramento del clima di fiducia emerso in seguito al cambio di governo e alle riforme promesse nel corso delle prime settimane di mandato, tanto che «ben il 66% del campione ritiene che il Governo sia in grado di far superare al paese la lunga fase di crisi economica».

Secondo il documento, al miglioramento della fiducia nei confronti della classe dirigente si accompagna una forte incertezza, caratterizzante il 40% delle famiglie, che «vivono adottando un comportamento di attendismo, in attesa dell’evolversi degli eventi». Infatti, il protrarsi della crisi, la disoccupazione e il pagamento delle tasse alimentano lo stato di precarietà delle famiglie: il 17% del campione definisce la condizione economica e la capacità di spesa della sua famiglia «ad alto rischio», il 21% risponde «che è difficile, perché rischia di non farcela, per il 41% la situazione è «precaria».
Alla domanda successiva, ossia se il governo Renzi riuscirà a traghettare il paese fuori dalla crisi, oltre il 75% degli intervistati «ritiene che il Governo riuscirà a realizzare il piano di riforme annunciato». Il 52% sostiene che ci riuscirà solo in parte, il 25% pensa «che ce la farà», pessimista il 14% che si dice pessimista. Chiare anche le priorità che il governo dovrebbe porsi: il 56,3% vorrebbe la creazione di nuovi posti di lavoro ,  il 32,1% chiede una riduzione delle tasse, di cui il 18,3% riferendosi alla tassazione sulle imprese e il 13,8% per le persone fisiche, e infine il 9% spera che il governo alimenti e potenzi i sussidi di disoccupazione.

Ma non sono solo le famiglie a lamentare ancora uno stato d’insicurezza. Tre mesi per 3.600 fallimenti. 40 al giorno, circa due all’ora. Unioncamere ha stilato i dati sulle imprese fallite nel corso del primo trimestre 2014, il 22% in più rispetto allo scorso anno. Aumento che coinvolge le società di capitali (22,6%), le società di persone (23,5%) e le imprese individuali (25%). Dal punto di vista geografico la situazione di default è spalmata equamente su tutto il territorio nazionale: si parte dal 22,8% del Nord Ovest, passando per il 23% del Centro per terminare con il 27,8% del Mezzogiorno. Di tutte le regioni, la più colpita è la Lombardia con ben 808 procedure fallimentari aperte, seguita dal Lazio (364) e dalla Toscana (293). Fanno da contraltare la Basilicata, che presenta una diminuzione del 17,6% e il Molise con un calo del 9,1%. L’industria manifatturiera, fino al 2013 uno dei settori “in via di guarigione”, nel primo trimestre del 2014 ha visto fallire ben 763 imprese, il 22,5% in più rispetto a un anno fa. Stessa sorte ha segnato anche il settore edile, che ha fatto registrare un aumento dei fallimenti del 22,1%, pari a 771 nuove procedure avviate. Una procedura fallimentare su 4, aperta tra l’inizio di gennaio e la fine di marzo, ha riguardato aziende che operano nel commercio (+ 24% rispetto allo stesso periodo del 2013). Diversa sorte è toccata ai procedimenti fallimentari per le imprese costituite come consorzi o cooperative, che hanno mostrato un calo di circa il 2%.
Secondo la Cgia di Mestre la burocrazia non aiuta la sopravvivenza delle imprese: su quelle di piccole dimensioni gravano circa 97 attività di controllo ogni anno, inerenti l’ambiente e la sicurezza nei luoghi di lavoro, l’amministrazione e le verifiche fiscali, condotte da decine di enti diversi, molte volte con lo stesso compito, fatto che aumenta la confusione in chi deve predisporsi ai controlli.

Renato Paone

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