Proseguono le indagini delle autorità cinesi sull’incidente di ieri a piazza Tienanmen, a Pechino, dove un’automobile con tre persone a bordo ha sfondato le barriere di sicurezza e si è schiantata, prendendo fuoco, sotto il ritratto del fondatore della Repubblica Popolare Mao Zedong.
La polizia cinese ha identificato due dei tre occupanti dell’auto che ha investito ieri la folla a piazza Tienanmen prendendo poi fuoco. Sono residenti della turbolenta regione dello Xinjiang e i loro nomi fanno ritenere che appartengano alla minoranza islamica turcofona degli uiguri.
Ieri sera, alcune ore dopo l’accaduto, la polizia di Pechino ha diffuso una nota in cui chiede informazioni agli hotel locali su ospiti sospetti giunti nella capitale dal primo ottobre, e ha indicato i nomi dei sospettati. Quattro hotel hanno riferito a Reuters di aver ricevuto la nota della polizia.
Cinque vittime e trentotto feriti, è questo il bilancio dell’incidente. La Farnesina ha fatto sapere che non risultano coinvolti italiani.
L’auto, una jeep bianca, ieri, aveva percorso 400 metri travolgendo le prime barriere prima di schiantarsi. “E’ stato veramente terrificante”, ha detto un testimone. La polizia ha chiuso al traffico per alcune ore la piazza e ha avviato un’indagine. Due reporter dell’agenzia France Press hanno affermato di essere stati brevemente detenuti mentre cercavano di avvicinarsi alla piazza. Il loro materiale fotografico è stato sequestrato.
La dinamica dei fatti e le numerose foto comparse su Internet – e cancellate dopo pochi minuti come tutte le notizie e i commenti sull’accaduto – lasciano poco spazio all’ipotesi dell’incidente. La portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, ha affermato in una conferenza stampa che il governo cinese “non ha informazioni dettagliate” sull’incidente. Di conseguenza, ha aggiunto, al momento non è in grado di dire se si sia trattato di un attentato o di un incidente.
Commentatori su Internet non escludono che si sia trattato di una immolazione, cioè di un suicidio di protesta. Negli ultimi tre anni, 122 tibetani si sono immolati per protestare contro la politica della Cina verso il territorio e per chiedere il ritorno in patria del Dalai Lama, il leader religioso che vive in esilio dal 1959.
Alessandro Filippelli