Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, spiega a Lumsanews i rapporti della comunità internazionale con il Ruanda e la crisi umanitaria nel Kivu.
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Dopo gli ultimi scontri ci dobbiamo aspettare un esodo di massa?
“È probabile, negli ultimi anni Goma è diventata la terza città più popolosa della Repubblica Democratica del Congo per via dell’afflusso di oltre un milione di sfollati da altre zone dell’est del Paese. Adesso in migliaia sono in fuga, sia coloro che si erano rifugiati in città da poco, sia i cittadini che abitano lì da generazioni”.
Come sta vivendo la popolazione di Goma in questi giorni?
“Al momento la città non riesce a ricevere gli aiuti umanitari. Molti quartieri sono senza elettricità. Durante gli scontri a fuoco sono stati usati ordigni esplosivi che sono per loro natura indiscriminati e dunque vietati dal diritto internazionale. Sono stati uccisi anche diversi caschi blu in queste ultime settimane. E tutti sanno che il mandante è il Ruanda e l’obiettivo sono le risorse del sottosuolo”.
Sulle risorse, Amnesty nel 2023 aveva lanciato un appello per fermare il lavoro minorile nelle cave.
“Sì, i bambini ovviamente costano meno, sono più snelli e quindi riescono ad entrare nei cunicoli dove gli adulti non passerebbero mai. Poi è una catena, i minerali arrivano fino alle imprese di trasformazione che sono in Corea del Sud e in Cina, fino ai nostri mercati dell’auto elettrica. È un problema che coinvolge anche il tema della transizione ecologica, perché quei minerali servono per costruire le batterie delle auto elettriche”.
Perché il Ruanda riceve finanziamenti dalla comunità internazionale?
“Il Ruanda ha una reputazione ottima a livello mondiale. Vanta una storia di successo africano, perché a soli 30 anni dal genocidio ha raggiunto un tasso di sviluppo enorme. È coinvolto in tante questioni internazionali, per esempio nell’immigrazione: è stato più volte chiamato in causa da Israele nella gestione dei richiedenti asilo. Nel 2018 per esempio, il governo israeliano ha segretamente approvato una procedura per l’espulsione degli immigrati eritrei verso paesi terzi, uno di questi era il Ruanda. Più recentemente anche il governo britannico ha provato a portare avanti questo piano irresponsabile di esternalizzazione delle domande di asilo. L’ex primo ministro Rishi Sunak aveva infatti previsto di trasferire in Ruanda i migranti giunti illegalmente nel Regno Unito attraverso il canale della Manica. Una volta arrivati a Kigali, avrebbero potuto ottenere lo status di rifugiati e il permesso di rimanere nel paese africano, ma non di tornare in Gran Bretagna. La comunità internazionale trascura però il fatto che il Ruanda è un Paese governato col pugno di ferro dal presidente Paul Kagame”.
E per quanto riguarda il ruolo delle Nazioni Unite?
“L’Onu è il terzo attore di questa vicenda, e non in positivo. La sua presenza purtroppo è abbastanza irrilevante, ha dimostrato più volte di fallire. Due processi di pace inaugurati dall’Onu sono sfumati dopo poco. E questa volta siamo di fronte a un nuovo ciclo di violenza”.