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"In Libia ho affrontato
il mio destino
Affogare o sopravvivere"

La storia di Oumar a Lumsanews

“Non avevo mai visto il mare”

di Maria Sole Betti24 Marzo 2023
24 Marzo 2023
Oumar Kourouma

Oumar Kourouma è nato in Guinea nel 1997, dove ha vissuto fino alla terza media. Nel 2013 è partito alla volta dell’Algeria, per spostarsi in Libia e arrivare in Italia nel 2015. A Lumsanews ha raccontato il suo viaggio e la sua storia.

È stata una tua scelta lasciare la Guinea? 

Diciamo che alcune circostanze abbastanza drammatiche della mia vita mi hanno portato a prendere questa decisione. La destinazione però dell’Algeria l’ho decisa io. Non avevo troppi agganci al di fuori del mio villaggio, figurati al di fuori del paese. Quindi ho contattato le uniche conoscenze che avevo, che erano alcune persone che erano già lì, e sono andato in Algeria”. 

Lì che cosa hai fatto?

“Nell’anno e mezzo che ho passato in Algeria ho lavorato come manovale e ho fatto qualche altro lavoraccio nell’ambito delle costruzioni. Però i lavori che facevo diminuivano man mano che le costruzioni finivano, quindi ho deciso di andarmene. Ho pensato che non avrebbe avuto senso tornare in Guinea e che sarebbe stato meglio trovare fortuna in un altro paese. Vicino c’era la Libia, dove il valore di cambio del dinaro è più alto di quello algerino. Così mi sono detto: anche se non faccio tanti lavori potrò comunque guadagnare di più”. 

In tutto ciò quanti anni avevi?

“Ero piccolo, un ragazzino testardo. In Libia ci sono andato da solo all’insaputa di tutti e infatti si è rivelata una decisione sbagliata. Ho fatto questa scelta nella disperazione, anche se è stato stupido da parte mia. Ammetto che dopo aver messo piede in Libia mi sono subito pentito. In Libia ci sono stato quasi 7 mesi ma non era un posto dove rimanere. Volevo a tutti i costi andarmene e partire”.

Quindi come ti sei mosso? 

“Ho deciso di affrontare il mio destino: o annegare in acqua o riuscire ad arrivare in un altro paese. L’unica cosa possibile era rivolgersi a chi organizzava le traversate. E come me, tanti ragazzi hanno fatto lo stesso perché avevano la mia stessa motivazione. Dopo aver pagato, prima di partire ci hanno messo in una struttura all’interno di un campo perché non eravamo abbastanza per poterci far imbarcare. Lì abbiamo passato molto tempo, non mi ricordo neanche quanto, forse tre mesi. Di quel periodo mi ricordo poco”.

È così che sei arrivato in Italia? 

“Sì, quando hanno ottenuto il numero che volevano siamo partiti. Ci hanno imbarcato la sera di un venerdì. Eravamo troppi, la barca era sovraccarica. Non c’era posto per tutti quelli che avevano pagato, ma loro hanno fatto sedere tutti. Lì è iniziato l’incubo: giramenti di testa, nausea, perdita di memoria. Sensazioni cattive, ma soprattutto tanta paura. Me lo ricordo ogni volta che sono in acqua. Nella mia vita avevo sentito il nome del mare sui libri di scuola ma non l’avevo mai visto con i miei occhi. Non so nemmeno nuotare. Poi una nave di una Ong ci ha salvato verso Lampedusa. E così siamo entrati in Italia. Mi ricordo perfettamente il giorno: era il 20 settembre del 2015”.

A Lampedusa cos’è successo? Siete stati messi in un hotspot? 

“Sì, ma per pochissimo. Mi ricordo che quando siamo sbarcati abbiamo messo piede sulla terraferma alle 18. Alle 15 del giorno dopo una parte del gruppo, compreso me, era già ripartito, destinazione Roma, più precisamente Rieti. Noi non avevamo urgenze mediche e stavamo abbastanza bene quindi siamo stati assegnati subito ad un centro di prima accoglienza”.

Che cosa ti ha portato da Rieti ad Ancona?

“Ho passato sei mesi in quella struttura, poi il 16 gennaio ho ottenuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Stavo cominciando ad abituarmi alla città di Rieti e anche a fare nuove conoscenze. Ma il permesso di soggiorno mi ha tolto il diritto di essere ospitato nella cooperativa dove stavo, anche perché avevo già 18 anni. Mi hanno detto che ci sarebbe stata un’opportunità in un’altra cooperativa in Sicilia, così sono partito di nuovo. Ma il progetto si è rivelato un buco nell’acqua. Così ho detto basta e me ne sono andato. È lì che è iniziata la mia vera avventura nel territorio italiano”. 

Da lì dove sei andato? 

“Sono tornato a Rieti ma non avevo più il dormitorio. Ho cominciato a dormire per strada per un po’ di tempo. Ho fatto per un mese in mezzo il pastore in montagna, dormendo al freddo per terra ma non mi hanno mai pagato. Poi ho trovato un dormitorio in periferia, ma non volevo stare con le mani in mano. Quindi ho deciso di andare a fare lavori stagionali, prima in Sicilia a raccogliere le arance da gennaio a metà marzo a Grammichele. Poi in Puglia a fare la stagione a Foggia a raccogliere i pomodori. Guadagnavo poco, ma almeno questo mi motivava ad andare avanti e a sperare in una svolta”.

Quando e dove è arrivata questa svolta?

“Proprio a Foggia. Una sera dopo lavoro sono andato al gran ghetto di Borgo Mezzanone. Qui ho conosciuto un ragazzo ivoriano che viveva ad Ancona, dove faceva l’università. Essendo entrambi di madrelingua francese, abbiamo iniziato a parlare e io gli ho spiegato cosa avrei voluto fare in futuro. È stato fondamentale. Grazie a lui sono stato ospitato dalla Caritas di Ancona, che poi mi ha trovato un dormitorio”.

Come è cambiata la tua vita?

“Da quando sono ad Ancona mi sono preso il diploma di terza media e il certificato da operatore socio sanitario. Ho fatto volontariato alla Croce Gialla e ora, a 26 anni, vivo da solo e lavoro come Oss. Dopo aver vissuto così tanti momenti difficili, ho imparato ad andare avanti. Il segreto è non perdere mai il sorriso. La mia storia non la racconto per essere commiserato, ma per dimostrare quanto sia importante fare qualcosa di utile per noi e per gli altri”.

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