Rita Subioli è una psicologa esperta del disturbo hikikomori. Con noi di Lumsanews ha parlato delle difficoltà nel nostro Paese di analizzare un fenomeno così sconosciuto, che porta nel lungo periodo a conseguenze molto gravi.
Quali sono nel lungo periodo i problemi legati al fenomeno dell’hikikomori?
“Studi specifici a riguardo non ne sono stati fatti. In base alla mia esperienza posso dire che a parte i disturbi psichiatrici che si possono venire a creare, la cosa più difficile è il reinserimento nella società, perché in base al tempo di reclusione ci possono essere delle conseguenze più o meno gravi nella fase di reinserimento. Anche solo nel trovare un lavoro perchè se per tanti anni si è rimasti isolati non si ha un curriculum appetibile né idoneo alla propria età. E poi anche a livello umano, ma tutto dipende dal tempo intercorso e dal livello di reclusione effettiva. Cioè c’è chi mantiene comunque delle amicizie, anche se solo online, e quindi il reinserimento è ancora fattibile. Ovviamente più il ragazzo è adulto e più è lunga la reclusione più è complicato tutto”.
Quali aiuti possono essere messi in campo per questo?
“Sarebbe necessario avere delle strutture che si occupano del reinserimento a 360 gradi, che attualmente non ci sono in Italia. Esistono dei centri diurni per adolescenti, che arrivano però fino a 18 anni, e sono un buon livello intermedio per permettere il buon reinserimento del giovane a scuola e in società. Il problema più grande è per gli adulti perché dopo i 18, ahimè, non c’è nulla di specifico per gli hikikomori”.
Non c’è nulla di specifico anche sui numeri che potrebbero dimostrare la portata del problema?
“No purtroppo, in Italia è così. Per quanto riguarda il periodo Covid si stima che ci sia stato un aumento perché ai servizi pubblici sono arrivate più richieste di aiuto per ragazzi reclusi. Soprattutto per chi si trovava in una situazione borderline, la quarantena è stata la goccia e che ha fatto traboccare il vaso. Gli unici studi, che hanno portato però solo a delle stime, sono quelli dell’Associazione Hikikomori Italia di Marco Crepaldi e uno studio dall’ASL di Reggio Emilia in cui si è valutato, attraverso le scuole, quali erano i casi di abbandono scolastico. Non è uno studio specifico sugli hikikomori, nel senso che non si sa se ci sia una connessione tra l’abbandono scolastico e il disturbo. Non si sa a quanti abbandoni scolastici corrisponda poi effettivamente una reclusione in casa. Una scuola non ha le competenze per indagare”.