In alcuni distretti di Xi’an, nella Cina nord-occidentale, il Coronavirus ha fatto registrare un picco mai visto di divorzi. Da quando sono sono stati riaperti gli uffici matrimoniali (il 1° marzo) è stato un susseguirsi di richieste di appuntamento. E a Beilin, dopo solo quattro giorni, c’erano già 14 appuntamenti, limite massimo per l’amministrazione locale.
“A seguito dell’epidemia molte coppie sono state legate tra loro a casa per oltre un mese, il che ha fomentato i conflitti sottostanti”, ha spiegato un funzionario della registrazione al Global Times. E ha aggiunto che in molti lo hanno fatto in modo impulsivo: addirittura ci sono giovani coppie, pentite, che hanno deciso di risposarsi mentre il loro certificato di divorzio era in fase di stampa. Anche nel distretto di Yanta stessa situazione, con appuntamenti già fissati per tutto il mese.
D’altronde oggi in Cina ottenere un certificato di divorzio è facile: basta una registrazione, un appuntamento telefonico e 30-40 minuti di pratica. In questa situazione, data l’emergenza Covid-19, non serve nemmeno incontrarsi di persona.
La convivenza forzata, quindi, preoccupa. E c’è chi pensa che lo stesso possa accadere in Italia. Per non parlare poi del pericolo violenza domestica, che cresce inevitabilmente. Nella lettera aperta inviata il 14 marzo alla ministra della Famiglia Elena Bonetti i comitati che in Italia si occupano di violenza domestica hanno scritto: «Sembra che il numero dei casi denunciati nella città di Jingzhou della provincia di Hubei sia triplicato a febbraio, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente». Come ha spiegato Repubblica, nel nostro Paese dall’8 al 15 marzo le chiamate arrivate al 1522, numero anti-violenza e anti-stalking, sono diminuite del 55%, con i centri anti-violenza che denunciano le ulteriori difficoltà delle donne, in quarantena, nel denunciare. Ma senza arrivare alle botte, è probabile che le coppie, costrette a stare 24 ore su 24 assieme, scoprano di non essere così unite.