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HomeEsteri “In Bielorussia le prigioni sono campi di concentramento”, la denuncia a Lumsanews

"Le prigioni in Bielorussia
sono dei veri e propri
campi di concentramento"

È l'accusa di Tim Suladze, musicista

scappato in Lituania dopo due arresti

di Luca Sebastiani02 Marzo 2021
02 Marzo 2021

Tim Suladze è un musicista di strada bielorusso, arrestato due volte e costretto a emigrare in Lituania per scappare dalla repressione di Lukashenko. A Lumsanews ha provato a raccontare la situazione nel suo paese.

Tim, qual è la sua storia?

“Sono stato condannato a 28 giorni di reclusione, dopo essere stato arrestato due volte perché suonavo musica “proibita” e senza autorizzazione. La prima volta era sabato 10 ottobre e stavo semplicemente suonando alcune canzoni di protesta mentre la gente camminava verso il luogo della manifestazione. Quella volta non partecipavo attivamente ma stavo lavorando, visto che mi esibisco per le strade. Quando sono uscito dalla prigione ho avuto molto sostegno e, avendo raggiunto anche un po’ di fama, ho deciso di fare una ventina di concerti di beneficenza destinando il ricavato al fondo di solidarietà By_Help, a cui sono riuscito a donare circa 1.000 dollari statunitensi.”

Il regime le ha concesso di raccogliere soldi per le vittime della repressione?

“Dopo il settimo concerto sono stato arrestato nuovamente. Visto che la mia attività veniva fatta in maniera aperta, pubblicando l’entità del denaro raccolto, ho cominciato a temere di rischiare un processo con accuse penali, e in tal caso non si sarebbe trattato di giorni, bensì di anni di reclusione. Altre persone che raccoglievano soldi per le vittime del regime avevano subito questa sorte. Per questo ho deciso di richiedere il corridoio umanitario alle autorità lituane, ho riparato la macchina, ho preso i miei cani e sono partito per Vilnius. Per fortuna, oltre a quello bielorusso, ho il passaporto russo e georgiano e anche la macchina con la targa di Mosca. Alla frontiera ho usato quello russo sostenendo di dover raggiungere Kaliningrad. Infatti, Lukashenko ha chiuso, tranne pochissime esclusioni, le frontiere terrestri.”

Come si sono sviluppate le proteste dall’estate scorsa in Bielorussia?

“Le proteste erano del tutto pacifiche. Non ero in Bielorussia il giorno delle elezioni ma ho seguito la situazione. Ero a Tbilisi, in Georgia, e ho votato all’ambasciata bielorussa. In quel seggio elettorale circa l’80% dei voti sono andati a Tsikhanouskaya e solo pochi a Lukashenko. Pensavamo di tornare in una nuova Bielorussia, libera e democratica. Invece il regime fascista ha usato le armi contro i manifestanti pacifici e ha cominciato a uccidere e a torturare le persone. Quando dico “fascista” non intendo il significato del termine usato in Italia, ma il significato nel mondo post-sovietico, specialmente russofono. Da noi il fascismo è la miscela del nazismo e delle dittature (tipo Ceausescu) e solo in pochissima misura del fascismo italiano. Paragoniamo direttamente Lukashenko a Hitler, anche perché il dittatore bielorusso lo stimava e ammirava pubblicamente nei lontani anni ‘90.”

La repressione di Lukashenko è stata feroce, negli ultimi giorni i più colpiti sono i giornalisti. Sono molte le testimonianze di persone arrestate, incarcerate senza motivi e in pessime condizioni. Qual è la situazione nelle prigioni?

“Le prigioni bielorusse sono veri e propri campi di concentramento del 21° secolo. Io non ho subito torture fisiche, ma certamente psicologiche. Inizialmente non ho potuto comunicare ai miei cari dove fossero i miei cani nel momento del mio arresto. In totale ho cambiato cinque prigioni e la peggiore è stata quella di Zhodino. Ho preso il Covid-19, accorgendomene da solo per alcuni sintomi e la perdita di olfatto, e mi è stata negata ogni assistenza medica. Quando mi hanno trasferito ho scoperto che mia madre aveva consegnato farmaci molto costosi che però gli ufficiali della prigione avevano requisito. Il regime fa contaminare gli arrestati di proposito, mescolando persone sane e malate, creando condizioni disumane e antigieniche.”

Oltre al fattore Covid, la vita in carcere com’era?

“Un decreto del direttore del penitenziario vietava di toccare i letti dalle 6 di mattina alle 22, consentendo solamente di sedersi su piccole panchine di 60 cm. Quando ero malato l’unica possibilità per sdraiarmi era il pavimento. Ed eravamo a novembre, in un paese del nord. In otto giorni trascorsi a Zhodino, solo una volta ci hanno portati per una piccola passeggiata in un cortile della prigione. Niente doccia per tutto il periodo. Niente lenzuola e dormivamo solo sui materassi. La luce non veniva spenta mai, neanche di notte. Ci facevano ascoltare per molte ore al giorno e con il volume al massimo la musica di propaganda, come si faceva nei campi di concentramento nazisti. In Europa c’è molta gente che non ha nemmeno la minima idea di cosa stia accadendo in Bielorussia. Abbiamo un altro Hitler nel centro d’Europa. Lukashenko è famoso anche per le sue affermazioni antisemite: una volta disse che gli ebrei in Bielorussia dovrebbero essere ‘registrati’.”

Le proteste stanno continuando, nonostante tutto. Quali saranno i prossimi passi e gli obiettivi per i dissidenti?

“La gente sta aspettando la primavera, dice “l’inverno è vostro, ma la primavera è nostra”. Aspettiamo soprattutto il 25 marzo, la Giornata della Libertà, proibita dallo stesso Lukashenko. Sicuramente il regime ha spaventato la gente! Ho saputo della notizia delle due giornaliste giovanissime condannate a due anni di reclusione ciascuna per aver svolto il loro lavoro. Continuiamo però a credere nella nostra vittoria, perché le dittature non possono durare per sempre. Guardi il già menzionato Ceausescu, o Gheddafi, o Saddam Hussein e gli altri dittatori moderni. Sembravano potentissimi, ma alla fine il popolo vince sempre. Gli obiettivi per i dissidenti sono semplici: far arrestare Lukashenko con tutti i suoi complici e processarli con un tribunale democratico. Infine demolire lo Stato terrorista creato da Lukashenko e costruire uno Stato libero e democratico per entrare a far parte della famiglia dei popoli europei.”

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