La via scelta è quella di prendere tempo per capire come muoversi, e nel frattempo tamponare le emergenze. Stop all’Imu dunque, ma solo per la rata di giugno, che verrà sospesa per decreto. Poi toccherà trovare 1,5 miliardi per rifinanziare la cassa integrazione in deroga, chiesta a gran voce dai sindacati, ed evitare l’aumento dell’Iva a luglio, che vale due miliardi. L’occasione potrebbe essere l’ormai imminente mini manovra di aprile, un intervento correttivo da 5 o 6 miliardi. Ma il governo delle larghe intese è già ai veti incrociati.
Letta sa che sulla tanto discussa tassa sulla casa si gioca la tenuta dell’esecutivo. Ieri, intervistato da Fabio Fazio a Che tempo che fa, il premier ha lanciato un messaggio a Berlusconi, che minacciava di ritirare la fiducia al governo se l’Imu non verrà abolita: “Non è un progetto di Berlusconi, il suo superamento faceva parte dei programmi di tutti e tre i partiti politici che sostengono il governo. Anche il Pd aveva il superamento come uno dei piani essenziali”. L’imposta andrà superata quindi, ma su come farlo il dibattito è aperto. Prima di dicembre, però, qualcosa bisognerà fare, perché la sospensione della rata di giugno è, appunto, solo una sospensione e a dicembre gli italiani potrebbero trovarsi a pagare in un colpo solo l’intera Imu 2013. Una delle ipotesi in campo è quella ventilata dal quotidiano La Stampa: una nuova tassa “Ics” (Imposta casa e servizi) che accorpi insieme Imu e Tares (la nuova tassa sui rifiuti, ndr), sul modello della Germania, modellandola sul reddito in modo da alleggerire soprattutto la prima.
Il punto fermo però è che il rapporto deficit/Pil deve rimanere al 2,9 per cento attuale. Qui i parametri sono stringenti. E’ indispensabile, infatti, che l’Italia dimostri di tenere sotto controllo i vincoli di finanza pubblica, soprattutto ora che la procedura d’infrazione per deficit eccessivo è in via di chiusura. La pratica è sul tavolo del commissario europeo agli Affari economici Olli Rehn, che lo firmerà il 29 maggio. Fatti i compiti a casa quindi, l’Italia potrebbe rientrare tra i paesi virtuosi e chiedere aiuto all’Europa per evita gli effetti più gravi della recessione economica, che proseguirà per tutto il 2013. Oggi l’Istat ha certificato che alla fine del 2013 il Pil calerà dell’1,4 per cento. Per intravedere uno spiraglio di crescita bisognerà attendere il prossimo anno, quando l’indicatore salirà dello 0,7 per cento. Se l’economia tornerà a crescere, però, la disoccupazione non accennerà a diminuire, anzi aumenterà fino al 12,3%. Numeri, quelli dell’Istituto di statistica che divergono, non poco, dalle previsione del governo. Secondo le ultime stime dell’esecutivo, infatti, il Pil dovrebbe calare dell’1,3% quest’anno (in linea conla Ue, mentre per Moody’s scenderà dell’1,8%), ma crescere dell’1,3% nel 2014.
Il ministro dell’Economia Saccomanni sta preparando la nota di modifica al Def (Documento di economia e finanza), che incorporerà le misure più urgenti. Difficile però che con questi numeri si possa provvedere ad un’abolizione tout court per accontentare Berlusconi. La priorità è quindi la lotta alla disoccupazione giovanile, e su questo punto il governo punta a cercare la sponda europea per abbassare la tassazione sul lavoro, puntando su minori vincoli per contratti a termine e apprendistato. Anche qui però, sarà necessario rinegoziare con l’Ue i vincoli di bilancio e ottenere così una dilatazione dei tempi necessari per rispettare il parametro del 3% del rapporto deficit-Pil, altrimenti sarà difficile, infatti, reperire le risorse necessarie per gli sgravi fiscali, soprattuto per le nuove assunzioni.