Un esercito compatto di bandiere bianche e blu, striscioni, felpe rosse con su scritto “salvataggio” e ombrelloni innalzati contro un sole di Roma particolarmente agguerrito, si espande, fin dalle prime ore del mattino, in una piazza del Popolo gremita, che saluta le circa 60mila anime al suono di fischietti e rullo di tamburi.
Le imprese per la prima volta insieme Le braccia artigiane dell’Italia, i motori rombanti del made in Italy che caratterizza il 18% delle imprese europee,, gli imprenditori che frugano tra i brandelli del vecchio triangolo industriale con la speranza di una ripartenza, si ritrovano per la prima volta insieme, a Roma, per condividere e manifestare il malessere dinnanzi ad una crisi che sfianca, a suon di tasse, pressione fiscale, burocrazia, la “spina dorsale” del paese, togliendo dignità a quanti hanno scelto di investire nella crescita economica del settore artigiano e manifatturiero.
I protagonisti Abbarbicati sulle pendici del Pincio, contraddistinti dalle diverse pettorine che indicano l’appartenenza a una delle cinque associazioni organizzatrici, Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, Cna e Casartigiani, i rappresentanti delle imprese brandiscono cartelli per gridare che non ci stanno. Si definiscono “il bancomat dello stato”, “prosciugati”, pronti a “sgobbare mentre gli altri che rubano fanno la roba”, stanchi delle chiacchiere, preoccupati per la minaccia di una “svendita” che potrebbe interessare 30mila aziende italiane che rischiano di essere cedute “non si sa a chi”, amareggiati per i continui licenziamenti che sono costretti ad attuare nei confronti di padri di famiglia.
“Siamo stanchi di fare i muli” grida un artigiano veneto di Confesercenti con in testa due orecchie d’asino. “Noi nel Veneto facciamo da traino, ogni tanto qualcuno stramazza al suolo. Le attività commerciali si spengono e il nostro settore perde vivacità” insiste, mentre un artigiano orologiaio si trincera dentro uno sfiduciato “siamo alla frutta”.
Una protesta per difendere l’identità e la dignità italiana “Se noi smettiamo di credere voi smettete di esistere” si legge su uno striscione. Perché ci credono ancora i piccoli commercianti, i bagnini di Cesenatico venuti a manifestare per difendere gli stabilimenti balneari che rischiano di “essere messi all’asta e cadere nelle mani dei grandi colossi europei”, e ci credono le guide turistiche che nascondono la rabbia dietro i sorrisi, “addobbate” con tanto di cartoline dall’Italia, mentre protestano perché “una guida che viene in Italia da qualsiasi paese d’Europa può lavorare, mentre noi, guide italiane siamo senza lavoro”.
Il dispiacere di chi non molla Antonio possiede un’attività commerciale nel cuore di Teramo. Col basco verde in testa ed una giacca sgargiante scavalca il muro dell’emiciclo della piazza, come se scavalcasse la crisi che ha colpito anche il suo negozio, ma nonostante tutto ha la forza di non mollare.
“Abbiamo raschiato tutto, ma nel barile non c’è più nulla. Rischiamo di saltare in aria e ci dispiace soprattutto per i nostri dipendenti che trattiamo come fossero dei familiari” dice mentre si arrampica con tutte le sue forze in cima al muro.
La disperazione davanti alla crisi Ma accanto agli animi di chi, come Antonio, inneggia alla “resistenza”, c’è chi, in questa giornata, manifesta tutta la sua disperazione. Dietro il palco dal quale parlano il leader di Confartigianato, Giorgio Merletti, il presidente di Casartigiani, Giacomo Basso, il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, il portavoce di Rete Imprese Italia, Marco Venturi, un anziano di 82 anni consegna all’ex viceministro dell’Economia, Stefano Fassina, una lettera, mentre respira affannosamente e due volontari lo sorreggono: “La legga, c’è il mio numero di telefono. Ai giovani dicono di lottare. Quando si lotta non c’è mai violenza, la violenza la subisce sempre il povero. Sono le ingiustizie che fanno uscire dalle regole. Perché ogni giorno è una guerra con la vita. Tante cose si possono risolvere con la buona volontà, non con le parole che restano rumori”.