Lo hanno già polemicamente etichettato il “Ri-salva Ilva”. Il Consiglio dei Ministri ha infatti varato ieri il decreto legge con cui è stato deciso il commissariamento del colosso dell’acciaio e del suo stabilimento di Taranto.
Ma, anziché segnare una cesura col recente passato, il governo ha scelto la strada della continuità nominando come custode giudiziario lo stesso amministratore delegato uscente dell’azienda: Enrico Bondi.
Un progetto a medio termine. Il decreto, operativo già da oggi dopo la firma a tempo di record da parte del Capo dello Stato, prevede la bonifica dell’area entro tre anni; un’operazione che però dovrà essere fatta con i soldi della famiglia Riva, con quegli 8,1 miliardi di euro già sequestrati dalla magistratura prima ancora che chiedesse la nomina del traghettatore e che l’esecutivo prendesse in mano la situazione. Il ministero dell’Ambiente avrà gran voce in capitolo; il neo ministro Orlando dovrà quanto prima nominare tre “saggi” dalla comprovata esperienza nel settore bonifiche per buttare giù un piano di risanamento e sottoporlo al giudizio di un sub commissario che si occuperà della parte tecnica.
Scontro sulla nomina. Ma, come detto, non sono mancate le polemiche; la nomina di Bondi è apparsa a molti in contraddizione con la linea seguita dai giudici; tutti gli incarichi sono stati azzerati, si è salvato solo lui: il supercommissario, già in passato giudice delle sorti di Parmalat dopo il crack Tanzi. Il decreto ha solo rafforzato i suoi poteri: dodici mesi, rinnovabili altre due volte (fino all’ipotetica conclusione della bonifica), in cui sarà artefice unico delle sorti dell’azienda, accorpando nelle sue mani la gestione operativa e la tutela dell’hinterland tarantino. Per il ministro dello Sviluppo economico Zanonato «occorreva qualcuno che fosse immediatamente operativo; è stata una precisa volontà del premier Letta». Ma il governatore della regione Puglia, Nichi Vendola, non ci sta: «Bondi – ha tuonato – è stato nominato amministratore dalla famiglia Riva; non c’è quella rottura col passato tanto auspicata»; proteste cui si uniscono le associazioni ambientaliste, che da anni si battono per risolvere la pessima convivenza Ilva-Taranto; lapidario anche il commento dei sindacati dei lavoratori, per cui «Bondi non è la cura ma un’altra malattia».
Missione fallita. Un provvedimento, quello approvato dal governo che in maniera pilatesca sottrae l’azienda dalla disponibilità dei Riva salvaguardando, allo stesso tempo, i lavoratori. L’Ilva, dunque, continuerà la produzione seguendo gli standard ambientali richiesti e gli oltre 24mila dipendenti non perderanno, per il momento, il proprio posto di lavoro; in più, verrà preservata la proprietà scongiurando il fallimento e lo smantellamento dell’area, così come auspicato da Confindustria. Scelte che avrebbero dovuto accontentare un po’ tutti; ma le modalità con cui sono state prese ha sortito un effetto totalmente opposto.
Marcello Gelardini