Domenico Calabrò, il 66enne ucciso a Tor Vergata pochi giorni fa, investito da un automobilista mentre se ne andava tranquillo in bicicletta e Ignazio Marino, sindaco di Roma alle prese con i pericoli disseminati per le strade della Capitale: due storie profondamente diverse ma, pur nella loro distanza, due facce della stessa medaglia. Perché, forse, ieri il primo cittadino avrà compreso di persona quanto dicono i suoi concittadini da troppo tempo ormai: girare per le strade di Roma sulle due ruote è un’impresa, una quotidiana sfida per la sopravvivenza.
Il curioso incidente. Atteso dal ministro dei Beni Culturali Bray per discutere (ironia della sorte) della pedonalizzazione dei Fori Imperiali, il sindaco-ciclista si stava recando nella sede del Mibac di Piazza del Collegio Romano (a due passi dal Campidoglio) in sella al suo inseparabile velocipede. È bastato un attimo di distrazione e la frittata era fatta; una caduta a pochi metri dal traguardo che poteva avere conseguenze ben peggiori. Per fortuna Marino si è subito rialzato raggiungendo l’ingresso del dicastero a piedi; solo un piccolo strappo sui pantaloni a testimoniare l’accaduto. A tradirlo una buca tra gli storici sampietrini che tappezzano il centro storico della città; solo uno dei tantissimi ostacoli che accolgono a braccia aperte i ciclisti romani nel loro percorso. Un episodio, però, dal profondo valore simbolico; da quando è diventato sindaco, Marino si è fatto promotore di una Roma più verde e sostenibile; il portabandiera di una crociata contro il traffico capitolino: recandosi al lavoro su una bicicletta a pedalata assistita, imponendo lo stop alle auto blu, mettendo in agenda tra le priorità il bando delle automobili dal centro cittadino. Ovviamente esultanti le associazioni ambientaliste e quelle di promozione delle due ruote in città.
Le difficoltà di una grande città. Ma il percorso perché il sogno diventi realtà è lungo e impervio; Roma non è ancora pronta per diventare a misura di ciclista; troppi i problemi da risolvere. A partire dal fondo stradale, disseminato di insidie tra buche, rattoppi e famigerati sampietrini. C’è poi la questione “piste ciclabili”: troppo poche rispetto alle altre capitali europee (attualmente sono un centinaio, il Campidoglio punta ad arrivare a 350km entro il 2016), mal progettate (in alcuni casi iniziano con percorsi dedicati e finiscono col confondersi nel caotico e pericoloso traffico di consolari e strade ad alto scorrimento), costruite su terreni scoscesi e, in alcuni casi, abbandonate al proprio destino. Per non parlare del traffico, soprattutto nei giorni feriali: a mancare è una cultura del pedale, così automobilisti e motociclisti si muovono con eccessiva agilità, noncuranti della vulnerabilità dei loro “colleghi” a due ruote.
I numeri di un’emergenza. Fattori di rischio che si traducono in dati drammatici: solo nella Capitale siamo sulla media di tre incidenti al giorno che vedono coinvolti dei ciclisti; a preoccupare è soprattutto il fatto che nella maggior parte dei casi c’è un ferito e che il tasso di mortalità è molto più alto rispetto ad auto e moto (secondo le ultime rilevazioni Istat, quasi un ciclista per incidente). Numeri destinati a crescere visto che, con la crisi, è notevolmente aumentato il numero di chi, conti alla mano, decide di abbandonare i mezzi a motore per tornare al passato. Un passo che nasconde mille insidie; i buoni propositi non sono sufficienti. Marino se ne sarà sicuramente accorto.
Marcello Gelardini