I romani che tutti i giorni percorrono per ore interminabili il Grande raccordo anulare sopravvivendo quotidianamente al traffico, non avrebbero mai potuto immaginare che il loro più grande incubo sarebbe diventato protagonista di un documentario, contenitore di racconti romanzati. E così, dopo la vittoria del Leone d’Oro alla 70ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il “Sacro Gra” di Gianfranco Rosi approda nelle sale cinematografiche. E una piccola vittoria l’ha avuta anche a Roma visto che da oggi sui display dell’Anas sarà proiettato il disegno del premio del festival. L’anello stradale, simbolo d matrimonio forzato tra i romani e Roma, è un luogo che unisce e avvicina tutti. Ed è proprio da lì che parte il racconto del regista che intreccia storie di vita di personaggi “accomunati da una dimensione poetica e da una forte identità, in un luogo che di identità è privo”. C’è il pescatore di anguille Cesare che ha passato una vita a gettare le reti al Tevere come il padre e il nonno di Rosi. Poi c’è il botanico Francesco arrivato nel lontano 1986 da Potenza che cura le palme dal punteruolo rosso, il barelliere del 118 Roberto che racconta di aver trovato in Rosi “un vero amico”. Non può, inoltre, mancare un personaggio dal sangue blu, il principe Filippo con il sigaro in bocca e la moglie Xsenia appena usciti dal loro stravagante castello. E poi c’è Gaetano, l’attore di fotoromanzi e Paolo un ricco e anziano piemontese che dice ”sono preoccupato perché a fine settembre forse ci scacceranno dal nostro palazzo”.
Insomma, in 90 minuti, senza fronzoli e immagini patinate, il regista dipinge una Roma autentica composta da personaggi forti che raccontano i loro drammi quotidiani che coinvolgono e emozionano lo spettatore. Niente a che vedere con le immagini artificiose, forzate e eleganti della Roma descritta da Sorrentino ne “La grande bellezza”. Rosi punta all’essenziale, al semplice ed è questa la chiave vincente che ha usato per Venezia. Ma nonostante ciò, il regista scopre un qualcosa di nuovo che toglie con un velo conferendo al film un’aurea di sacralità. Il regista si è ispirato al romanzo “Le città invisibili” nel quale Italo Calvino scriveva che l’unico viaggio che si potesse fare nella vita era quello intorno alla città e, come dire, Rosi l’ha preso in parola.
Sara Stefanini