La golden age trumpiana come etichetta felice in un’epoca di irrazionalità. Maurizio Bettini, presidente del Centro di Antropologia del Mondo Antico e ordinario emerito in Filologia classica presso l’Università di Siena, racconta a Lumsanews il legame tra l’età dell’oro proclamata da Donald Trump e gli Stati Uniti.
Perché il mito si riaffaccia in politica nel 2025? Cos’è che ha spinto Donald Trump a scegliere il mito dell’Età dell’oro? E perché i suoi elettori danno credito a questa strategia retorica?
“L’Età dell’oro è una locuzione stereotipata, un’etichetta, che evoca un periodo di felicità e di fecondità. Fa parte del bagaglio comune, come lo sono certi proverbi ovvero (come in questo caso) miti particolarmente famosi: come l’Edipo del complesso di Edipo o la fatica di Sisifo. Ma quello dell’Età dell’oro è uno slogan che funziona ancora meglio perché contiene il termine “oro”, che evoca ricchezza, felicità, e quindi suscita l’immagine di un periodo positivo anche nella mente di chi non ha la minima idea di che cosa sia la “Età dell’oro”. Tanto più in bocca a un affarista come Donald Trump, che ragiona sempre in termini di ricchezza e guadagno”.
Quali sono i modelli classici che ci parlano di età dell’oro e che il discorso di Trump riprende? Cosa può dirci riguardo le differenze tra le fonti classiche e il discorso recitato dal presidente statunitense?
“I modelli classici più celebri sono quelli descritti da Esiodo ne “Le opere e i giorni” e da Virgilio nella IV Ecloga, quando sarà un misterioso puer a riportare nel mondo benessere e giustizia. Che Trump abbia una minima idea di ciò che sta citando, non lo credo proprio. Il suo è un sentito dire, un’allusione vaga. Oltre tutto le caratteristiche della mitica Età dell’oro non hanno niente a che fare con la situazione americana a cui si riferisce Trump. Nell’Età dell’oro, infatti, gli uomini non lavoravano (lui invece promette lavoro a tutti), non si affaticavano (e Musk ‘licenzia’ chi, negli uffici pubblici, non lavora), i confini non esistevano (e Trump parla solo di muri e di confini) e così via. Tutto al contrario”.
Sembra che il mito stia tornando prepotentemente nel discorso politico in veste di narrazione irrazionale, basata sulla riemersione dei fasti del passato e sull’aspirazione a un futuro dalle “magnifiche sorti e progressive”. Il mito rappresenta un capovolgimento della logica umana?
“Certo, la nostra è un’epoca di irrazionalità, il principio del terzo escluso e quello di non contraddizione tendono ad affievolirsi. Le affermazioni sono considerate vere e false allo stesso tempo, la falsità è smerciata in continuazione come verità, di conseguenza alcuni aspetti del mito – come la sua mancanza di verosimiglianza e i suoi caratteri soprannaturali – possono esercitare un certo fascino su menti complottiste e disposte a credere ad ogni ‘verità’ pseudoscientifica”.
In diversi dei suoi saggi, ha delineato la figura dell’essere prodigioso, che da condizioni di estremo pericolo riesce a diventare una figura di riferimento all’interno della propria comunità. Crede che Trump abbia voluto sfruttare in tal senso l’attentato che lo ha visto vittima?
“Certo può stupire che contemporaneamente a straordinarie scoperte scientifiche, come quelle contemporanee, e a realizzazioni tecniche meravigliose come la Intelligenza artificiale, sopravviva la credenza del predestinato, del protetto da Dio, del Messia inviato con una missione divina. Non dimentichiamo però che l’America è un paese caratterizzato da forme di cristianesimo molto diverse dal cattolicesimo: fra gli americani le credenze messianiche, millenariste, sono molto diffuse, in certe scuole si insegna il creazionismo e vi sono stati già molti casi di attese (frustrate) della fine dei tempi”.
Nel discorso sulla golden age americana, Trump sembra voler realizzare finalisticamente il futuro degli Stati Uniti, guardando ai miti americani del passato. Il suo braccio destro Elon Musk, invece, incarna la visione del lungotermismo. Cosa può dirci di questa contrapposizione?
“Molto spesso i ‘rivoluzionari’, quelli che intendono cambiare tutto, e lo fanno, per rassicurare le folle dichiarano che vogliono in realtà tornare all’antico. Anche questo è uno dei casi. Del resto già Huizinga faceva notare che il termine rivoluzione, dal punto di vista etimologico, significa “far girare la ruota all’indietro”. Un’altra possibile strategia consiste invece nell’additare grandiose mete future. Sono due strategie che si compensano, due facce della stessa medaglia, il cui scopo è uno solo. Dare uno scossone al presente”.