“L’Italia è uno dei paesi che ha preso le misure più drastiche fin dall’inizio, prima degli altri”, assicura il segretario generale del ministero della Salute Giuseppe Ruocco, intervistato da Lumsanews, “anzi siamo stati spesso i soli, perché molte misure non sono state adottate da nessun altro paese europeo. “Il problema certamente va monitorato ma non deve essere drammatizzato oltre quali sono i confini e le basi razionali e scientifiche”.
Giuseppe Ruocco è l’esperto del Ministero incaricato di occuparsi esclusivamente dell’emergenza coronavirus e delle possibili ripercussioni a livello italiano. È quindi l’autorità più informata e preparata di tutto l’esecutivo.
Per il momento il Ministero sta gestendo i possibili rischi in tre modi: con una task force, con le misure negli aeroporti di Milano e Roma, da cui partono e atterrano voli diretti internazionali, e con il numero di pubblica utilità.
La task force.
Questo strumento operativo interno, spiega Ruocco, è perennemente allertato. Si riunisce comunque ogni mattina, tutti i giorni della settimana, alle 9:30. “La task force è composta dai nostri esperti del Ministero, dai rappresentanti dei due aeroporti sanitari, cioè Milano e Roma Fiumicino, i rappresentanti delle forze armate, dell’ospedale Spallanzani, dell’Istituto superiore di sanità, e delle singole regioni”. Coinvolge perciò tutte quelle strutture che ogni giorno devono monitorare ciò che appartiene al loro campo e “collaborare per poter gestire non solo un eventuale caso, ma soprattutto la preparazione a un eventuale caso.”
Gli aeroporti.
I canali sanitari sono già strutturalmente presenti a Roma e a Milano, e adesso sono potenziati e attivi per la prevenzione e il monitoraggio degli eventuali rischi sanitari dovuti al coronavirus.
“Data la contemporaneità dei voli, che arrivano più o meno tutti nelle stesse fasce orarie, dalla Cina, in questa fase abbiamo due protocolli diversi”, continua Ruocco: per i voli dove non c’è nessun rischio segnalato prima dell’arrivo, “Abbiamo disposto di fare i controlli direttamente a bordo, misurando la temperatura con un termometro digitale e raccogliendo le informazioni su tutti i passeggeri”.
Ove invece venisse segnalato in anticipo un caso sospetto, “questa operazione si svolge invece a terra al canale sanitario, dove la temperatura viene misurata attraverso dei termo scanner fissi” attraverso cui le persone devono passare: l’allarme scatta se qualcuno supera la soglia. “Questa doppia procedura velocizza e disturba meno i passeggeri, senza venir meno alla sicurezza.”
Il numero di pubblica utilità
Il numero che si trova sul sito, attivo 24 ore su 24, ha due funzioni. È rivolto ai cittadini italiani che richiedono informazioni, e anche ai cittadini stranieri che si trovano in Italia e che, “non avendo il medico qui e dovessero aver bisogno di essere ricoverati, monitorati, o se ritenessero di presentare sintomi sospetti” possono avvertire le istituzioni: “Il numero è il primo punto di contatto, che poi indirizza le persone al servizio sanitario della regione in cui si trovano.”
Il rischio psicosi collettiva
Rispetto alla paura degli italiani nei confronti dei cinesi che vivono nelle nostre città, risponde: “Il rischio non è legato alla presenza di persone di origine cinese sul territorio, ma c’è solo per chi rientra dalle aree della Cina. Il rischio perciò riguarda cinesi, italiani, passeggeri di altre nazionalità che magari per lavoro si spostano. Sappiamo che in Italia ci sono più di 300mila cinesi, e per questo siamo in stretto contatto con l’ambasciata, per fare sì che anche loro si sentano rassicurati. Quelli che vivono qui sono spaventati, quindi non sono loro il problema, anzi anche loro necessitano di informazioni”.
Le mancanze dell’UE
Tutto questo, però, al ministro della Salute Roberto Speranza non basta: dal primo giorno ha auspicato un coordinamento a livello europeo, più volte ha chiesto al presidente della Commissione di fare una riunione di coordinamento, in modo che le misure vengano prese per lo meno dal blocco europeo in maniera coerente. E Giuseppe Ruocco gli dà ragione: “In assenza di coordinamento, una chiusura del nostro paese non farebbe altro che spostare il traffico su altri aeroporti, dai quali le persone potrebbero poi comunque arrivare qui in modo indiretto. Quindi non risolverebbe la questione”.