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Il Male, la rivista satirica
che "rovesciava la verità"
Ora in mostra al WeGil

Fu il terzo settimanale più venduto

nella seconda metà del Novecento

di Alessandro Rosi13 Dicembre 2019
13 Dicembre 2019

Come tutti i settimanali, la copertina è in prima pagina. Ma per sfogliarlo bisogna prima aprirlo. Poi girarlo. Solo allora si potrà iniziare a leggerlo.  Si presenta così Il Male, la più famosa rivista satirica della seconda metà del Novecento. E, di inganni, il magazine nato a Roma nel 1978 se ne intendeva: “Ugo Tognazzi capo delle Br”, “Annullati i mondiali”, “Da un’altra galassia hanno raggiunto la Terra”. Questi alcuni dei titoli più famosi attribuiti a giornali noti – come Repubblica, Corriere dello Sport e Corriere della Sera – che comparivano all’interno della rivista e che oggi sono esposti con gigantografie nel percorso della mostra al WeGil, visitabile fino al 6 gennaio 2020.

Il primo “falso” fu pubblicato in occasione dei funerali dell’allora presidente del Consiglio Aldo Moro. “Lo Stato si è estinto” il titolo attribuito a Repubblica che mandò su tutte le furie il direttore Eugenio Scalfari. Il giornalista chiamò la redazione e Jiga Melik, uno dei redattori de Il Male – dopo aver appreso nome e qualifica – gli rispose: “Che io sappia in Italia c’è un presidente della Repubblica, poi abbiamo avuto vari re, però mai, mai, un direttore della Repubblica!”.

Nel lavoro di contraffazione dei giornali c’era soprattutto la mano di Angelo Pasquini, definito “lo scienziato del falso” da Jiga Melik. “Quello che noi facevamo”, racconta a Lumsanews Pasquini, “era usare il falso per rovesciare delle verità che in realtà erano piuttosto discutibili. Utilizzarlo come strumento di demistificazione in un periodo drammatico, sotto diversi punti di vista”.

 

Angelo Pasquini racconta come nasce l’idea dell’apertura

 

L’omicidio Moro, il terrorismo nero, gli attentati, e poi ancora il delitto Pecorelli, la P2, la mafia: anni scuri, bui, di piombo quelli tra il 1978 e il 1982. “C’era bisogno di avere un’altra voce”, prosegue Pasquini, “il terrorismo costringeva i giornalisti ad avere un approccio con la realtà guardingo. Tutto era appiattito. I giornali erano piuttosto cupi, mentre il nostro settimanale era un’esplosione di colore”. Non c’era pagina della rivista che non fosse colorata e arricchita con i fumetti dei migliori disegnatori dell’epoca. I lavori di Vicino, Vauro e Andrea Pazienza, più che semplici disegni, erano delle vere e proprie opere d’arte, tutte esposte lungo il percorso della mostra. Come la copertina che Il Male utilizzò durante la lotta degli operai FIAT a Torino. Un gigantesco viso rosso con la fronte aggrottata e il naso arricciato incombe su una fabbrica. Ha i lineamenti di Giovanni Agnelli (patron della FIAT) e “sniffa” gli operai utilizzando al posto di una banconota una lunga ciminiera. “L’idea fu mia”, spiega Vincino nel documentario I Cinque Anni della rivista il Male di Gianluca Rame, “ma quello che la poteva disegnare meglio era Pazienza, mentre chi poteva colorarla bene era Enzo Sferra. Per questo in basso a destra ci sono tre firme. Questo era il nostro modo di lavorare. Sempre allegri intorno a un tavolo. Era stupendo”.

Una redazione che sapeva unire anime differenti, con caratteri forti. “Eravamo come una band”, racconta ancora Pasquini, “che doveva inventare ogni volta un pezzo nuovo per il pubblico”. E scontri non mancavano. “Avvenivano abbastanza spesso. All’interno c’era chi voleva un giornale più popolare e chi uno di ricerca, più elitario. Ma queste due anime hanno saputo convivere e portare a ottimi risultati. Il segreto del successo è stato tenere insieme forze diverse e di non appiattirsi da una parte o dall’altra”.

E la fama arrivò. Nel 1980 Il Male diventò il terzo settimanale in Italia, arrivando a vendere anche 180.000 mila copie. E arrivano i soldi. Dalle scatole di fagioli condite con pepe, sale e olio che il barista di via Lorenzo Valla (dove Il Male aveva il suo quartier generale) preparava ai redattori, si passa alle aragoste. “Guadagnavo 1 milione e 200 mila lire al mese”, ricorda Jacopo Fo nel documentario di Gianluca Rame. “Ogni cosa si faceva alla grande”, scrive Vincino nel suo libro Il Male. 1978-1982. I cinque anni che cambiarono la satira (edito da Rizzoli), “per due anni siamo andati in viaggio in America”.

Soldi che venivano spesi anche per gli “happening”. Il più famoso quello in cui convinsero l’attore Ugo Tognazzi a farsi arrestare, per poi sbatterlo in prima pagina e spacciarlo per capo delle Br. Un altro evento fu quello dell’assegnazione del primo premio planetario per humor nero a Giulio Andreotti. “Andammo al Pincio”, scrive Jiga Melik, “per mettere il busto insieme a quelli di uomini insigni come Balbo, Brunelleschi e Giulio Cesare. Quando stavamo per scoprirlo, intervenne la polizia. Due agenti lo afferrarono ignari che fosse di marmo e pesantissimo. Per questa ragione il manufatto gli cadde sui piedi e a quel punto iniziarono a gridare di dolore”. Il rapporto de Il Male con la polizia fu sempre “terremotato”. “Avemmo una quantità di sequestri spaventosa”, confida Pasquini. In redazione arrivavano denunce per oltraggio al pudore, vilipendio a capi di stato italiani o esteri e querele di ogni tipo, ordine e grado, oltre – naturalmente – al sequestro del giornale.

Ma il settimanale più irriverente continuò a vendere, almeno fino al 1982, anno in cui terminò di uscire in edicola. “Mi sono sempre chiesto come abbiamo fatto a durare così poco”, scrive Vincino nel suo libro, “oggi invece mi chiedo: ma abbiamo fatto a durare così tanto?”.

 

Angelo Pasquini ricorda un aneddoto interno alla redazione

 

Il Male è stato un settimanale che ha influenzato i giornali attraverso il suo modo di fare satira. Di recente, altri hanno cercato di riprendere l’esempio, ma l’esperienza de Il Male rimane unica per il contesto in cui si è sviluppata, e anche per il modo tutto suo in cui si apriva. Se volete provare anche voi a sfogliarlo o comprarlo, di copie non ce ne sono più in edicola, ma le trovate in vendita alla mostra. Leggere un po’ di male, in fondo, fa bene.

 

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