HomeCronaca Il Cortile dei Gentili dedicato ai giornalisti. Confronto tra il cardinale Ravasi e Scalfari su fede e ragione

Il Cortile dei Gentili dedicato ai giornalisti. Confronto tra il cardinale Ravasi e Scalfari su fede e ragione

di Mariangela Cossu26 Settembre 2013
26 Settembre 2013

DSC_0275Si è svolto ieri a Roma, nel Tempio di Adriano, “Il Cortile dei Giornalisti”, una tavola rotonda sul rapporto tra fede e ragione, verità e coscienza. L’incontro è stato promosso dal Cortile dei gentili – la struttura vaticana che incoraggia il dialogo tra credenti e non credenti -, presieduto dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che ha aperto il convegno insieme a Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica e recente destinatario della lettera di papa Francesco. Sono intervenuti anche i direttori dei principali quotidiani italiani.
“Non siamo qui per convertirci a vicenda, ma abbiamo in comune la convinzione che le nostre posizioni diverse debbano essere lievito per una terra che ha bisogno di essere fertilizzata”. Con questa frase Scalfari ha sintetizzato il leit motiv del confronto, introducendo il tema delicato della “ratio” in contrapposizione alla “fides”. Il fondatore di Repubblica ha inoltre affermato di essere “innamorato” di Gesù, anche se in gioventù, scelse di abbandonare la fede. Ha confessato di aver praticato gli Esercizi Spirituali nella Casa del Sacro Cuore a Roma, dove trovò rifugio come inadempiente alla leva fascista. “Debbo molto a quei gesuiti che mi insegnarono a ragionare” – riconosce – “ma sono innamorato dei francescani”. L’intellettuale ateo spiega così il suo interesse per il dialogo con i cattolici e individua nella morte di Cristo in croce il culmine dell’incarnazione e del messaggio cristiano. E’ proprio in quella scelta di privilegiare l’amore per gli altri rispetto all’egoismo, Scalfari trova un messaggio importante per una società dove “il tasso di narcisismo è diventato patologico”. Ravasi elogia Scalfari per l’intuizione e risponde descrivendo il grido di Cristo sulla croce – “Dio mio perché mi hai abbandonato?” – come “l’ateismo salvifico di Cristo” a cui “la teologia giustappone la Resurrezione in quanto Cristo resta il Figlio anche se non sente il Padre e così depone nella mortalità il seme dell’infinito”.
“Il linguaggio della Chiesa deve avere una nuova grammatica, più diretta. Deve abbandonare le subordinate”. Ravasi riprende anche il tema del ruolo della Chiesa nella rivoluzione della comunicazione dell’era digitale. Ricorda che Gesù nei Vangeli ci offre un metodo quando utilizza il linguaggio breve dei ‘tweet’ in modo sistematico, la sceneggiatura televisiva attraverso le “parabole” e basa sulla corporeità il suo annuncio. “Se un pastore oggi non si interessa di comunicazione – aggiunge – è al di fuori del suo ministero”.Gli fa eco in chiusura Scalfari che, d’accordo sulla nascita di un nuovo linguaggio, affida proprio alla religione il compito di trasmettere alla nuova civiltà, in corso di formazione, il patrimonio spirituale dei valori del passato.
Nei due dibattiti successivi, i direttori dei principali quotidiani nazionali, da De Bortoli, Corriere della Sera, e Calabresi, La Stampa, a Tarquinio, Avvenire, e Vian, Osservatore Romano, si sono confrontati su temi di etica della comunicazione Si è parlato anche dell’interesse dei mass-media per la Chiesa, grazie al Pontificato di Papa Francesco. Misericordia e umiltà – viene sottolineato – sono le cifre di un linguaggio che conquista credenti e non credenti. Respingere il sensazionalismo, ridare centralità alla persona e favorire il dialogo, sembrano invece le regole d’oro per i direttori della carta stampata. “Il nostro compito come ‘cercatori di verità’ – ricorda Mauro, direttore de La Repubblica – è stare nel cortile, nelle piazze, tenendoci distanti dal potere”. Senza tralasciare un tema caro a Benedetto XVI, ricordato dal direttore del Sole 24ore, Napoletano, la “ragione allarga il suo orizzonte con la fede”.

Mariangela Cossu

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