Non si arresta il consumo di suolo all’interno delle aree naturali protette italiane. Al 2020, infatti, sono quasi 60mila gli ettari di terreno in tutta la penisola che hanno evidenziato problemi di questo genere. Fra le regioni coinvolte spicca la Campania – con 13.379 ettari colpiti – e quello della Liguria, che ad oggi presenta la maggior incidenza di consumo. È quanto emerge dall’indagine condotta da Openpolis su dati Ispra.
Cosa sono le “aree protette”
Si tratta di zone in cui il valore naturalistico è dato dalla presenza di determinati elementi fisici, morfologici e biologici. Nelle 871 aree presenti in Italia – in cui sono inclusi anche i parchi nazionali, regionali e interregionali – vige il divieto di caccia.
Una delle maggiori piaghe di queste zone è rappresentata dal fatto che non siano esenti dalle attività antropiche, finalizzate all’utilizzo di alcune risorse presenti. Il suolo ha un ruolo fondamentale nella tutela delle biodiversità, ma allo stesso tempo determina anche un valore socioeconomico. La copertura del suolo – non più circoscritto solamente alle aree urbane – rischia di compromettere le molteplici funzioni del territorio.
A chi è affidato il monitoraggio
L’Ispra – l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – è l’organismo preposto alla valutazione dei rischi presenti all’interno delle aree protette italiane. L’ente pubblico nel 2020 ha stimato che il consumo di suolo all’interno delle stesse sia stato di 59.335 ettari. Se si guarda però alle percentuali, si scopre che solo l’1.9% del suolo coinvolto si trova nelle zone protette, a fronte del 7.1% calcolato su tutta la superficie nazionale.