Ieri mattina, poco dopo le 11, il Consiglio Superiore della Crimea ha votato a favore della separazione dall’Ucraina con 78 voti a favore su 81 membri presenti, a pochi giorni dal referendum di domenica 16 che sancirà definitivamente la nascita dello Stato autonomo della Repubblica di Crimea. Il documento cita, a sostegno della sua legittimità, la sentenza della Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite del 2010 sull’indipendenza del Kosovo dalla Jugoslavia, «secondo cui la dichiarazione d’indipendenza di una parte di un paese non viola le norme internazionali».
La Duma di Mosca, appresa la notizia, guardava già al calendario, precisamente al 21 marzo, giorno in cui discuterà una legge che permetterà alla Federazione Russa di accogliere al suo interno una nazione che richieda, tramite referendum popolare, di essere annessa. Tutto, ovviamente, garantito dal rispetto formale delle leggi. Se questo piano dovesse andare a buon fine, la Crimea sarebbe il primo paese a ricongiungersi con la Russia dai tempi della caduta dell’Unione Sovietica.
È doveroso rilevare un particolare aspetto inerente alla vicenda, sottolineato da Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale e dell’Unione Europea all’Università Sapienza di Roma: «una dichiarazione d’indipendenza non ha, di per sé, alcun effetto giuridico e per questo non può considerarsi né legittima né tanto meno illegittima. Anzi, se proprio si vuol essere precisi, il diritto internazionale si fonda sul principio dell’intangibilità dei confini e dell’integrità territoriale degli stati. Solo in casi estremi di violazione dei diritti umani o insanabili conflitti etnici si può pensare di garantire un’eventuale secessione: proprio il caso del Kosovo è ancora oggi considerato controverso. Mentre è certo che tale situazione non sussista in Crimea».
Al sorriso soddisfatto di Putin, che sta già pregustando il ritorno della Crimea tra le braccia della Madre Russia, si contrappone la reazione stizzita dell’Ue: «L’Unione europea è pronta a imporre sanzioni contro la Russia a partire da lunedì prossimo, 17 marzo», ha riferito il premier polacco Donald Tusk. Anche il ministro per gli Affari Esteri francese, Thierry Repentin, si unisce al coro europeo, affermando: «Oggi le uniche autorità ucraine che riconosciamo sono quelle frutto dell’accordo firmato il 21 febbraio. Qualunque altra azione non ha legittimità politica». Critico invece il premier ucraino Arsenij Jatsenjuk, che non ha esitato un istante a dichiarare il voto del parlamento di Simferopoli illegittimo, sostenendo che «la repubblica autonoma deve restare parte del territorio ucraino e che gli Stati che hanno firmato il Memorandum di Budapest dovrebbero difendere l’Ucraina perché si sono fatti garanti della nostra sicurezza».
Il presidente Usa Barack Obama ha precisato che questi «non sono gli anni per ridisegnare i confini europei», ma i fatti del recente passato, e non solo, ci ricordano che proprio la democrazia statunitense è stata molto attiva nel ridisegnare gli atlanti geografici, senza poi risolvere i problemi sorti dalle situazioni venutesi a creare.
Il caso della Crimea non è solo politico, ma anche economico e l’annessione alla Russia graverà notevolmente sul bilancio interno del Cremlino come le prevedibili sanzioni che i paesi occidentali emaneranno nei suoi confronti e le spese necessarie al rifornimento per la neo repubblica dei servizi primari, quali luce, gas e acqua, servizi che il governo di Kiev molto probabilmente taglierà. Il tutto per un totale di circa 2 miliardi di dollari.
Nell’immediato, però, sono previsti parecchi risparmi che in futuro potrebbero trasformarsi in un netto guadagno come i 98milioni di dollari necessari ad affittare la base navale di Sebastopoli, la possibilità di sfruttare i fondali crimei per gli oleodotti senza dover nulla a Erdogan per il passaggio in quelli turchi e soprattutto il rimpatrio dell’immenso capitale degli oligarchi russi, attualmente sparso nel mondo.
José Manuel Barroso, presidente della commissione europea, ha affermato che la «la nostra relazione con i vicini dell’est non vuole essere esclusiva. Non chiediamo di voltare le spalle alla Russia, ma Mosca deve accettare l’idea che i paesi decidano da soli le loro relazioni. Non abbiamo bisogno di nuove guerre fredde e certamente non le vogliamo».
Renato Paone