Battute finali in vista delle primarie comunali del centrosinistra che ci diranno quale sarà il candidato che sfiderà Gianni Alemanno, Alfio Marchini e il “grillino” Marcello De Vito nella corsa al Campidoglio. E proprio nelle ultime ore sia accende la campagna elettorale, suscitando interesse per una contesa, sinora, passata in secondo piano, oscurata dalla crisi istituzionale. Sei i candidati in lizza, ben quattro espressione del Partito democratico.
I favoriti della vigilia. Una lotta che, molto probabilmente, si ridurrà in una partita a tre: Ignazio Marino, uomo di fiducia del segretario Bersani; il “renziano” Paolo Gentiloni; David Sassoli, candidato della corrente interna guidata da Dario Franceschini; un tutti contro tutti che coinvolge l’intero Pd; un referendum sul partito, su quella linea Bersani più volte messa in discussione in queste settimane. Una vigilia segnata dalle polemiche; da un parte lo scontro sul numero dei candidati, un segno delle divisioni crescenti nel centrosinistra; poi quelle che hanno investito Sassoli, reo di aver invaso i muri di Roma con manifesti abusivi. «Ai nostri volontari — si difende l’ex giornalista — è stato detto di affiggerli solo nei luoghi consentiti»; ciò non è però bastare a placare le ire degli altri. Un clima che, anche nel caso delle comunali (in linea con quanto avvenuto per le politiche di febbraio), ha praticamente oscurato i programmi elettorali.
Il nodo alleanze. Saranno fondamentali le alleanze; la spunterà chi riuscirà ad attrarre i voti dei meno “fedeli” al Pd. Su questo punto il più accreditato sembra Marino: già candidato alla segreteria del partito nel 2011, il senatore è quello con le idee più marcatamente di sinistra; non è un caso che Sel, aldilà della propria candidata Gemma Azuni, non disdegni il nome di Marino per la poltrona di Sindaco. Gli altri lo accusano di cercare esclusivamente più voti possibili con frasi ad effetto per attirare l’ala movimentista del partito, lasciando colpevolmente da parte il centro e i moderati; lui però replica: «Se essere di sinistra vuol dire lotta al cemento e servizi per tutti, allora io lo sono».
Rischio scarsa affluenza. Ma l’aspetto per preoccupa di più gli organizzatori è certamente il capitolo affluenza; un flop sarebbe l’ulteriore passo falso dei democratici; per questo, a 72 ore dall’apertura del voto, si stanno moltiplicando gli appelli per recarsi domenica negli oltre 250 seggi (allestiti nelle sedi di Pd e Sel e nei gazebo sparsi nelle principali piazze della città). È lo stesso Bersani a muoversi in prima persona: «La mia aspettativa e il mio auspicio — ha detto ieri il segretario Pd — è che la gente vada a votare»; gli fa eco il neo Presidente regionale Zingaretti, per il quale andare alle urne sarebbe l’unico modo per «liberare Roma e ridare un futuro alla città». Ai piani alti si accontenterebbero di 100mila votanti; una soglia accettabile ma non proprio facile da raggiungere (basti pensare che, per la sfida Renzi-Bersani, furono 170mila i romani in fila ai gazebo). Una variabile importante potrebbe essere data dall’apertura del voto anche ai sedicenni; chissà che l’entusiasmo dei più giovani non riesca a dare lo slancio decisivo per far decollare delle primarie nate non proprio sotto una buona stella.
Marcello Gelardini