Dal 24 maggio 2022 il cardinale Matteo Maria Zuppi è il presidente della Conferenza episcopale italiana. Da sempre vicino ai poveri, è stato assistente ecclesiastico generale nella comunità di Sant’Egidio, occupandosi di bambini emarginati, tossicodipendenti e carcerati. Papa Francesco lo ha scelto proprio per la forte vocazione mostrata nel sociale nonché per la vicinanza alla sua idea di Chiesa. In un’intervista rilasciata a Lumsanews, Zuppi ripercorre gli aspetti salienti dei dieci anni del pontificato di Francesco.
Cosa ha significato l’elezione di Papa Francesco per la Chiesa cattolica?
“Tradizione e non conservazione. La tradizione – non il tradizionalismo – è parte dell’essenza stessa della Chiesa cattolica. Papa Francesco ha permesso di rivivere, come disse il Pontefice emerito Benedetto XVI, la “sobria ebbrezza” dell’entusiasmo del Concilio Vaticano II, mettendo in pratica una delle più importanti intuizioni conciliari: rimettere la Chiesa in viaggio con l’essenzialità della fede”.
Nella chiave di lettura comune si tende a porre il pontificato di Francesco in controtendenza rispetto a quello di Benedetto XVI. L’elezione di Bergoglio è stata una rivoluzione rispetto a quella di Ratzinger?
“No, tra i due c’è stata continuità con alcune differenze, come sempre accade. Nel passaggio da Pio XII a Giovanni XXIII, ad esempio, c’è stata una rottura più forte. È proprio questa la bellezza del passaggio di testimone. La “Lumen Fidei”, la prima enciclica di Francesco, scritta “a due mani” con Ratzinger, è la massima espressione della continuità tra i due papi. La successione al soglio di Pietro è quindi avvenuta nel solco della tradizione. Papa Francesco ha portato avanti, rinnovandola, una delle maggiori intuizioni di Papa Benedetto: l’anno della fede, pensato proprio per rimettere la Chiesa in cammino. È per questo che il Papa esorta i cristiani a uscire di casa per cercare in strada il vero messaggio di Cristo”.
Sul tema dell’omosessualità, il Papa ha affermato: “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”. Su questo punto come si pone il mondo cattolico?
“L’indicazione data da Francesco è chiara: non etichettare e non emarginare. Il mondo cattolico non esclude né condanna. La preoccupazione del pontefice è proprio quella di far vivere pienamente la comunità cristiana anche agli omosessuali”.
L’accoglienza dei migranti è una delle tematiche più care a Francesco e alla Conferenza episcopale italiana. Perché?
“Anzitutto perché è un tema evangelico. Noi cristiani siamo chiamati a questo: amare il prossimo come noi stessi e aiutare i forestieri, i nudi e gli affamati. L’accoglienza è parte costitutiva delle nostre scelte. La vocazione sociale della Chiesa è unita a quella spirituale: se vuoi essere cristiano, devi essere molto spirituale e molto sociale, perché Gesù non parlava di categorie astratte, ma di affamati, assetati e carcerati. Purtroppo le migrazioni si scontrano con le contingenze della politica, che affronta con difficoltà un tema così importante. Auspico che l’Europa, così tanto debitrice della visione cristiana della persona, sappia essere all’altezza di garantire i diritti di chi cerca futuro nel nostro continente”.
Oggi a che punto sono i rapporti tra la Chiesa cattolica e la Conferenza episcopale italiana?
“La Cei obbedisce al Papa. Noi siamo i suoi vescovi. Questo rapporto di vicinanza impegna la Conferenza ad aiutare Francesco nel suo servizio alla Chiesa Universale”.
C’è un episodio particolarmente significativo che la lega a Papa Francesco?
“Vista la tragica attualità della guerra in Ucraina, mi ha molto colpito la sua commozione l’8 dicembre a Piazza di Spagna, in occasione della scorsa festa dell’Immacolata. In quelle lacrime c’è tutta la preghiera di un uomo che ha fatto propria la sofferenza di coloro che sono colpiti dal conflitto”.