Sale di nuovo la tensione a Hong Kong, dopo la decisione di Pechino di allontanare quattro deputati del “Civic Party” di Honk Kong per “mancanza di patriottismo”.
Tutto ha inizio quando,nei giorni scorsi, a Hong Kong giunge la decisione da parte di Pechino. Tra l’indignazione generale, la risposta immediata giunge da parte dei rimanenti 15 rappresentanti di “pro-democrazia” che decidono di dimettersi in blocco.
Dura, a sua volta, è la risposta di Pechino che condanna le dimissioni dei deputati definendole “una farsa” e “una sfida aperta” alla propria autorità e a quella della Basic Law (la costituzione dell’ex colonia). Il governo cinese ha poi aggiunto che questa mossa “è un atteggiamento di ostinata resistenza, se i deputati puntano a usare le dimissioni per un’opposizione radicale e per sollecitare un’influenza esterna, hanno fatto male i loro conti”.
Non si fa attendere l’intervento dell’Europa. Così, da Bruxelles l’Alto rappresentante Josep Borrell chiede “l’immediata revoca delle decisioni da parte delle autorità di Pechino e del governo di Hong Kong e l’immediato reintegro dei membri del Consiglio legislativo”. Inoltre, dichiara che “questi ultimi passi costituiscono un ulteriore duro colpo al pluralismo politico e alla libertà di opinione a Hong Kong, minandone la propria autonomia in modo significativo”.
Non si fa attendere nemmeno la voce di Londra che, tramite il ministro degli Esteri Dominic Raab, accusa la Cina di violazione degli accordi presi con la Gran Bretagna nel 1984, all’epoca dell’avvio del processo di restituzione dell’ex colonia a Pechino, a causa dell’imposizione di nuove regole per escludere dal Parlamento deputati eletti. “Il Regno Unito continuerà a stare dalla parte del popolo di Hong Kong, a denunciare le violazioni contro i suoi diritti e le sue libertà e ad agire con i partner internazionali per richiamare la Cina al rispetto degli obblighi liberamente assunti sulla base del diritto internazionale”, conclude.