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HomeEconomia I sindacati contestano il reddito di cittadinanza: si rischia una “guerra tra poveri”

Reddito di cittadinanza
Per i sindacati si rischia
una "guerra tra poveri"

Contestati i dieci anni di residenza

le misure ritenute disomogenee

di Laura Bonaiuti05 Febbraio 2019
05 Febbraio 2019

Cgil, Cisl e Uil hanno presentato un documento comune su reddito e pensioni, nell’audizione in Commissione Lavoro del Senato. Non mancano le critiche al cosiddetto Decretone, sia riguardo al reddito di cittadinanza che per quota 100.

Sul primo, i sindacati definiscono “inaccettabile” il requisito di residenza in Italia da almeno dieci anni, di cui gli ultimi due consecutivi: “È troppo vincolante nei confronti dei cittadini stranieri, iniquo verso l’intera platea dei soggetti in condizione di bisogno, a partire dai senza dimora ed esclude i possibili immigrati di ritorno”. I requisiti non devono quindi entrare in contrasto con le normative comunitarie che regolano le prestazioni di simile natura. Inoltre, un altro punto che le tre sigle contestano è il rischio che si inneschi una “guerra tra poveri”, ma anche un “effetto spiazzamento” degli utenti dei centri per l’impiego non beneficiari del reddito. I sindacati ritengono inoltre “molto grave” la sospensione per tre anni dell’assegno di ricollocazione per i disoccupati ordinari.

Anche sulla quota 100 emergono frizioni. Cgil, Cisl e Uil sostengono che la norma “non sarà in grado di rispondere in modo omogeneo alle esigenze espresse da molte lavoratrici e lavoratori. Costituisce un’opportunità per lavoratori con carriere continue e strutturate, ma sarà meno accessibile per i lavoratori del centro sud e del tutto insufficiente per le donne, per i lavoratori con carriere discontinue o occupati in particolari comparti occupazionali caratterizzati da discontinuità lavorativa, come il settore agricolo o quello dell’edilizia, nei quali raramente un lavoratore raggiunge i 38 anni di contribuzione”.

Inoltre, la reintroduzione del meccanismo delle finestre è, a giudizio dei sindacati, “penalizzante”. In particolare “discrimina i lavoratori del settore pubblico, poiché per loro la finestra di accesso alla pensione è di sei mesi”. Cgil, Cisl e Uil tornano quindi a chiedere “un intervento organico e strutturale, basato sulla flessibilità in uscita a partire dai 62 anni di età”. È inoltre necessario introdurre la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contribuzione a prescindere dall’età ed “indispensabile” riconoscere la diversa gravosità dei lavori.

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