L’associazione Antigone, che si occupa dei diritti e delle garanzie delle persone detenute, ha pubblicato il suo rapporto annuale sulle condizioni delle carceri in Italia. Sofia Antonelli è ricercatrice e membro dell’osservatorio sugli istituti penitenziari del Lazio. Con LumsaNews parla dell’ultimo studio di Antigone, “Nodo alla gola”.
Qual è il dato più preoccupante che è emerso dal vostro studio?
“Ovviamente il numero dei suicidi totale nel corso del 2024. È un numero che parla già di per sé. Il 2022 era stato l’anno dei record, il 2023 allo stesso modo per i suoi numeri altissimi, per poi arrivare al triste primato del 2024. Purtroppo anche il 2025 è iniziato in maniera tragica. Siamo già a sette casi, con un suicidio anche da parte di un agente penitenziario nel carcere di Paola”.
Che cosa c’è dietro?
“Vite di persone, spesso con fragilità sociali, psicofisiche, con percorsi di tossicodipendenza, fragilità economiche. Ma anche molte persone senza fissa dimora e un numero preoccupante di ragazzi giovanissimi. Tra i giovani che purtroppo si sono tolti la vita almeno una ventina erano tra i 19 e 29 anni. A essere tragico non è però solo il dato dell’età. Molte persone si tolgono la vita all’inizio del loro periodo di detenzione, addirittura nei primi mesi, alcune volte anche nelle primissime settimane. Ne è un esempio il suicidio avvenuto poco tempo fa a Regina Coeli a Roma di un ragazzo romeno di 23 anni entrato in carcere a dicembre. Altri invece compiono gesti estremi quando stanno per lasciarlo. Ecco perché noi chiediamo particolare attenzione alla fase iniziale e finale dei percorsi di detenzione, particolarmente drammatiche per chi ha appena subito un arresto, per chi entra all’interno di un istituto e magari non c’è mai stato. O per chi ci entra per l’ennesima volta e non ha più speranza per il futuro”.
C’è un rapporto di causa ed effetto tra sovraffollamento e suicidi in carcere?
“Non possiamo parlare di cause dirette perché si rischierebbe di banalizzare e semplificare un fenomeno molto più complesso e delicato. Sicuramente un carcere pieno dove gli operatori devono seguire un numero crescente di persone spesso fragili e marginali è sicuramente un carcere che avrà più difficoltà a individuare e seguire i casi più delicati. Quindi sì, in quest’ottica il carcere sovraffollato è sicuramente una delle cause da inserire nel fenomeno dei suicidi”.
Quali azioni dovrebbe intraprendere il governo per prevenire il fenomeno?
“È necessario intervenire sulle condizioni detentive e ridurre i numeri, in quanto un miglioramento delle condizioni generali delle strutture porterebbe a un beneficio anche ai soggetti più a rischio. La maggioranza di suicidi avvenuti l’anno scorso si è verificata nelle sezioni chiuse, cioè le zone di isolamento o le sezioni cosiddette ex articolo 32, dove vengono detenute le persone considerate più difficili da gestire. Oppure nella sezione nuovi giunti, dove le persone passano il primo periodo di detenzione. Qui si dovrebbe essere seguiti in maniera più appropriata. Spesso invece sono le sezioni gestite peggio. A Regina Coeli, molti suicidi sono avvenuti in una di queste sezioni, la settima”.
C’è poi il tema delle misure alternative.
“Ci sono poi tante persone che sono in carcere per periodi molto brevi oppure per reati di scarsa pericolosità sociale. Quindi se per queste persone ci fosse una diversa possibilità di detenzione carceraria, i numeri potrebbero facilmente calare in maniera drastica. In generale servirebbero politiche di decarcerizzazione, ma in questi anni di governo stiamo vedendo il contrario. Assistiamo solo a nuovi reati, a più carceri, a pene più lunghe”.