Quale è lo stato della povertà in Italia? Lumsanews ne ha parlato con Massimo Baldini, professore ordinario di Economia dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia (UniMoRe).
Cosa dicono i dati sulla povertà in Italia?
“La fonte principale per i dati sulla povertà in Italia è sicuramente l’Istat. Questi dati dicono che la quota di famiglie in uno stato di povertà assoluta nel nostro Paese è molto aumentata negli ultimi 15 anni. Il dato riguarda soprattutto i giovani: l’incidenza della povertà è più alta rispetto a quanto accade fra gli anziani. Registriamo, dunque, un’inversione rispetto a qualche anno fa, quando l’incidenza della povertà era più o meno simile in tutti i gruppi d’età. Va anche detto, però, che i giovani in Italia sono pochi: per questo, se guardiamo i dati in base all’età, i giovani risultano svantaggiati, ma in generale il numero totale dei poveri è molto alto anche tra i 50-60enni”.
Nessuna differenza tra Nord e Sud?
“Direi che qualche differenza c’è: a Nord è più diffusa una povertà tra gli extracomunitari, proprio perché gran parte delle famiglie straniere vivono al Nord, dove ci sono più opportunità di lavoro. La povertà, infatti, coinvolge lavoratori che guadagnano poco e che spesso hanno famiglie numerose. Al sud, invece, la povertà si caratterizza maggiormente per il grande numero di 50enni o 60enni che non hanno ancora accesso alla pensione, ma avendo poca istruzione e poche competenze professionali, sono tagliati fuori dal mercato del lavoro”.
Ci sono state in Italia politiche pubbliche nate con l’obiettivo di contrastare la povertà?
“Il reddito di cittadinanza è stato fondamentale per contrastare il fenomeno della povertà diffusa. Questa misura, introdotta prima dal governo Gentiloni e poi confluita nel Reddito di cittadinanza a partire dal 2019, ha avuto sicuramente un importante effetto sulla povertà, soprattutto negli anni del Covid. Non pochi, però, sono stati i problemi: sarebbe dovuta essere una misura di reinserimento al lavoro, ma invece questo non sempre è avvenuto, anche a causa del cattivo funzionamento dei centri per l’impiego regionali”.
Si parla spesso di povertà ereditaria, condizione di povertà vissuta nel presente, ma che ha un legame diretto con situazioni di povertà del passato. Cosa ne pensa?
“Si sa bene che i primi anni di vita sono decisivi, non soltanto per la genetica. Da un punto di vista della cultura, dell’ambiente in cui si vive nei primi 10/15 anni di vita, c’è sicuramente questa tendenza a riprodurre gli stessi comportamenti dei genitori, ereditando valori e abitudini. Va anche detto che la possibilità di un figlio di cambiare la condizione della famiglia d’origine è molto dipendente dalla zona in cui si vive. Nelle regioni del Nord la mobilità è molto alta e al Sud è molto più bassa, a causa di poche opportunità, date dall’ambiente o dall’economia. Non si può parlare in generale dell’ereditarietà indipendentemente dal contesto: al sud c’è più correlazione tra figli e genitori semplicemente perché l’economia funziona male”.