Duro scambio di accuse tra Usa e Cina in seguito all’arresto della direttrice finanziaria del colosso cinese Huawei, Meng Wanzhou, figlia del fondatore del gruppo, avvenuto in Canada su richiesta di Washington. L’ira di Pechino non si è fatta attendere e adesso è a rischio la già debole tregua commerciale sancita pochi giorni fa tra le due potenze con un accordo firmato a margine del G20 di Buenos Aires tra Donald Trump e l’omologo cinese Xi Jinping.
Il capo dell’ufficio finanziario di Huawei è accusato di aver violato l’embargo commerciale imposto da Washington sull’Iran. Gli Stati Uniti ne chiedono l’estradizione mentre Il ministero degli Esteri cinese ha subito chiesto al Canada di liberare Meng. Per domani è prevista l’udienza in cui il giudice deciderà l’eventuale rilascio su cauzione.
L’ambasciata cinese di Ottawa ha rilasciato un comunicato con cui, sostenendo l’innocenza dell’imprenditrice, condanna “questo tipo di azioni che hanno seriamente danneggiato i diritti umani della vittima”, sottolineando come il Cfo di Huawei non abbia infranto alcuna legge degli Usa o del Canada. A testimoniare la buona condotta di Meng è, come prevedibile, l’azienda cinese che si è detta fiduciosa sul raggiungimento di un accordo imparziale tra le autorità canadesi e statunitensi, perché “Huawei rispetta tutte le leggi e le regole dei Paesi in cui opera, incluse quelle in materia di controllo delle esportazioni delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti e dell’Ue”, specificando di non essere a conoscenza di illeciti.
Dopo la notizia dell’arresto, le borse asiatiche sono in rosso: il Nikkei perde -1,91%, mentre Hong Kong cede il 2,93% e Shanghai chiude con -1,7%. Anche i mercati europei sono sotto pressione, con la borsa di Milano che cede un -2%.