Durante una manifestazione a Beirut, sei persone hanno perso la vita e altre 30 sono rimaste ferite perché “cecchini non ancora identificati” hanno iniziato a sparare sulla folla. È accaduto nella mattinata di ieri, a 32 anni dalla fine della guerra civile, che per quindici anni ha trasformato la città in un campo di battaglia. I manifestanti protestavano contro il giudice incaricato di indagare sulla violenta esplosione nel porto di Beirut dell’agosto del 2020.
La manifestazione di protesta è stata indetta da Amal ed Hezbollah, due partiti sciiti libanesi, per chiedere la rimozione del giudice Tarek Bitar. La situazione è però degenerata in scontri armati tra i miliziani delle due formazioni e cecchini che avrebbero aperto il fuoco per primi contro i manifestanti. I franchi tiratori, secondo i partiti libanesi, “erano appostati sui palazzi di fronte” alla rotonda di Tayyoune, ovvero sugli edifici del quartiere di Ayn Remmane, nota roccaforte delle formazioni dei cristiani maroniti, rivali dei due movimenti sciiti, arroccati invece nell’antistante quartiere di Shiyah. Secondo la ricostruzione di Amal e Hezbollah i “cecchini miravano alla testa”.
Parigi invita alla “distensione”, ribadendo la necessità per la giustizia libanese di “poter trovare la verità in modo indipendente e imparziale”. Mosca fa sapere di essere “preoccupata per la crescita della tensione politica” e chiede ai politici libanesi “moderazione e prudenza”. Il portavoce del ministro degli Esteri iraniano sostiene la necessità di ” arrestare i responsabili di questi crimini”. Intanto la sottosegretaria Usa Victoria Nuland, arrivata a Beirut proprio nel giorno degli scontri, ha reso noto che gli Stati Uniti invieranno altri 76 milioni di dollari d’aiuto all’esercito libanese. Secondo Save The Children 1,3 milioni di bambini libanesi rischiano di sviluppare problemi mentali e di perdere il terzo anno consecutivo di scuola a causa dell’escalation delle violenze.