Sette anni di guerra civile in Siria oggi. Era il 15 marzo del 2011 quando a Damasco si svolse il primo inedito corteo di protesta contro il regime. E da allora, scontri armati senza sosta, complicati dalla presenza nel Paese dell’Isis e della minoranza curda. Ieri, 20 civili uccisi nei bombardamenti governativi nella Ghuta orientale, in parte controllata dai ribelli.
Trascinati dagli entusiasmi suscitati dalle Primavere Arabe, gli Usa del presidente Barack Obama e l’Unione europea pensarono che fosse arrivato anche il momento di Assad, e nel 2011 chiesero apertamente che lasciasse il potere. Ma non avevano fatto i conti con le radici profonde su cui il regime poteva ancora reggersi, e soprattutto con il sostegno totale che i suoi alleati di sempre, la Russia e l’Iran, avrebbero continuato ad assicurargli. Senza contare poi il complesso ruolo della Turchia tra lotta all’Isis e repressione della resistenza curda.
Difficile dire quanti siano stati i morti in questi sette anni. L’Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus) parla di quasi mezzo milione di vittime.