Il green pass è ormai entrato a far parte della quotidianità degli italiani. Il governo ha voluto estenderlo a una platea sempre più ampia per evitare future restrizioni che non permetterebbero una ripresa sociale ed economica.
La certificazione verde è necessaria per accedere a numerose attività e servizi, ma anche per viaggiare sui mezzi a lunga percorrenza e dal 15 ottobre per andare al lavoro. Nato su proposta della Commissione europea, viene emesso soltanto attraverso la piattaforma nazionale del Ministero della Salute e si può ottenere a tre condizioni: la vaccinazione anti Covid-19 valida per 12 mesi, la negatività al test molecolare o antigenico rapido nelle ultime 48 ore e la guarigione dal virus negli ultimi sei mesi, oppure 12 mesi in caso di successiva somministrazione di una dose di vaccino o in caso di contagio dopo il quattordicesimo giorno dalla prima somministrazione.
Tuttavia, esiste una parte rilevante di popolazione sia vaccinata, sia guarita, che ha incontrato da subito problemi a ricevere regolarmente l’attestato. Molti guariti infatti non riescono a ottenerlo per difficoltà di comunicazione tra i medici di base e le Asl di riferimento.
Un problema che si ripercuote anche su chi si è vaccinato solo con una dose, prima di essere contagiato. Ai vaccinati invece con il siero russo Sputnik, che non è autorizzato dall’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali, non viene riconosciuto alcun certificato, tranne per quelli a cui è stato rilasciato dalle autorità sanitarie della Repubblica di San Marino. Tutti casi che, se non verranno risolti tempestivamente, rischiano di avere serie conseguenze, sia dal punto di vista sociale che lavorativo.
A testimoniarlo è Alessio, uno studente di 24 anni che a marzo è risultato positivo al tampone molecolare. “Dopo essermi negativizzato e aver ricevuto il certificato di guarigione da parte del medico di base, non sono mai stato in grado di ottenere il certificato dal ministero. Questo perché il sistema non permetteva di trasferire i miei dati all’Asl di riferimento”, racconta.
Spiega il medico di base dello studente: “Non riesco ad accedere al terminale per inserire i dati del paziente, perché non si incrociano con le Asl di riferimento e quindi non vengono riconosciuti dal sistema. L’emissione del certificato per i guariti non è possibile per una questione di tracciabilità”. Altri professionisti si sono trovati impreparati: “Non ho avuto indicazioni in merito a come inviare i dati alle Asl”, riferisce un medico di base della Regione Umbria.
Nonostante il governo abbia messo a disposizione un link nel sito dgc.gov.it per recuperare l’authcode necessario per scaricare il pass, al momento dell’inserimento dei dati, sulla piattaforma appariva la seguente scritta: “L’authcode non è disponibile. La certificazione potrebbe non essere stata generata”. Non è arrivata nessuna risposta neanche scrivendo all’indirizzo mail cittadini@dgc.gov.it.
Solo con la successiva somministrazione della dose unica di vaccino, prevista per chi è stato contagiato entro i sei mesi dalla guarigione, lo studente ha potuto ottenere la certificazione. Il governo ha pubblicato sulla sua piattaforma una serie di chiarimenti.
Una spiegazione sembra arrivare dal sito governativo. “Solo alcune Regioni – si legge – hanno trasmesso alla Piattaforma nazionale – DGC i dati delle guarigioni per l’emissione automatica delle certificazioni”. In caso di mancata ricezione, “è probabile che il medico o la Asl non abbiano inserito nel ‘sistema Tessera sanitaria’ i dati relativi al tuo certificato di guarigione. In questo caso devi rivolgerti al tuo medico di famiglia o alla Asl perché inseriscano i dati nel sistema”.
Ma un medico di base della Regione Puglia chiarisce che non sono loro a rilasciare il pass ma “dopo aver segnalato l’avvenuta guarigione del paziente sul portale regionale, è quest’ultimo che si occupa di dare comunicazione al ministero della Salute, che manda o dovrebbe mandare al paziente le indicazioni su come scaricare il certificato”.
Il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici, Filippo Anelli, spiega a Lumsanews che si tratta di “problemi di carattere burocratico legati più a errori di inserimento o a problemi di disallineamento tra le varie piattaforme. Questi ultimi aspetti si risolvono facilmente contattando il centro del dipartimento di prevenzione oppure, se una persona ha ricevuto il vaccino dal medico di famiglia, può fare una verifica rispetto ai dati che ha inserito. Il vero problema – continua Anelli – sta nel fatto che gli operatori sanitari non hanno accesso a tutti gli aspetti e alla gestione complessiva della piattaforma. Per cui bene hanno fatto le Asl a individuare tecnici che possono intervenire e provare a risolvere il problema”.
Chiamando il numero dei dipartimenti di prevenzione delle varie Asl regionali però non si ottiene alcuna risposta. Neanche il numero di assistenza tecnica 800912491 messo a disposizione dal governo è reperibile: le uniche informazioni arrivano da una voce registrata che dice “In questo momento non è possibile rispondere alla sua chiamata. Riprovi più tardi”.