«Maledetto, sei tu il leader». Scherza Beppe Grillo rivolgendosi a un imbarazzato Luigi Di Maio, il golden boy del Movimento, vicepresidente della Camera e da questa estate nuova testa di serie nei sondaggi, con Grillo scavalcato di un punto percentuale.
Lo scettro è stato passato di mano, anche se Grillo rimane la Grande Madre del Movimento, il patriarca che guarda «orgoglioso e anche meravigliato» i suoi parlamentari. Lo «specchietto per le allodole», dice ai giornalisti presenti alla conferenza stampa di presentazione della proposta di legge per il reddito di cittadinanza.
Eppure, la nuova leadership dei Di Maio, Alessandro Di Battista, Roberto Fico, nasconde l’ennesima crepa nella filosofia pentastellata. Sarebbe un suicidio politico mandarli a casa a fine legislatura, anche se il doppio mandato costituirebbe una deroga alle ferree regole del Movimento, da sempre contrario alle ricandidature, simbolo dei “politici di professione”.
D’altronde lo smantellamento è iniziato da un pezzo. Dalle presenze agli odiati talk show, all’“uno vale uno” durato il tempo di selezionare un direttorio, fino al recente ripensamento che aleggia su stipendi e indennizzi da restituire. Ora sembra arrivato il turno del doppio mandato.
E insomma, eccolo qui il Movimento di oggi, sempre più “partito anti-partiti”. E non si stupirà più nessuno se qualche parlamentare 5stelle avrà la pretesa di essere chiamato “deputato” o “senatore”.