Marika Pane è la direttrice clinica del Centro Nemo pediatrico di Roma e professoressa di neuropsichiatria infantile nella sede romana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Nell’intervista rilasciata a Lumsanews fa un punto sull’atrofia muscolare spinale, dalle terapie esistenti al nuovo corso della malattia grazie allo screening neonatale.
Che cos’è la SMA?
“La SMA, atrofia muscolare spinale, è una malattia genetica rara del secondo motoneurone causata da una mancanza di una proteina che si chiama sms localizzata sul cromosoma 5. La mancanza di questa proteina comporta l’assenza dell’impulso motorio che dal motoneurone arriva al muscolo e questo è il motivo per cui noi vediamo i nostri bambini deboli”.
Quante persone ne sono affette?
“In Italia ci sono più o meno 1.255 pazienti affetti. È una malattia che ha un’incidenza di uno su diecimila, però i portatori sani – che sono normalmente i genitori – non si sa quanti sono. Probabilmente c’è qualche paziente che non è stato ancora trovato”.
Quali sono le fasce di età più colpite?
“Non è tanto una questione di fasce di età, è una questione di forma. Abbiamo quattro tipi di malattia, addirittura cinque se contiamo anche una forma zero intrauterina. Ogni tipo di SMA comporta delle problematiche più o meno gravi. Si può ad esempio incorrere in complicanze respiratorie, nella deglutizione, oppure nella scoliosi. Il 90% dei nostri ragazzi va incontro ad una scoliosi severa ingravescente e nel 90% dei casi intorno alla pubertà vanno incontro ad un intervento di stabilizzazione della colonna” .
Com’è cambiata la storia della malattia nel tempo?
“Con l’avvento delle nuove terapie, dal 2016 ad oggi, è tutto cambiato. Abbiamo a disposizione attualmente tre farmaci (di cui anche una terapia genica) che se iniziati in maniera molto precoce cambiano radicalmente la storia naturale della malattia. Per cui ci sono i bambini con SMA 1 che non muoiono più o comunque hanno una buona qualità della vita; i bambini affetti da SMA 2 non peggiorano anzi acquisiscono nuove funzionalità; addirittura anche con la forma 3 migliorano nel tempo. Quello che abbiamo imparato in questi ultimi anni è che il trattamento deve essere molto precoce per cui lo screening neonatale fa la differenza”.
Come si fa a stabilire qual è la terapia più giusta per il bambino?
“Non si stabilisce. Esiste un farmaco somministrabile già a due mesi di vita. Per i bambini appena nati a cui viene diagnosticata subito la malattia la scelta è tra la terapia genica e SpinRaza. Nel primo caso si tratta di un trattamento one shot, che può comportare effetti collaterali e non si sa quanto può rivelarsi duraturo nel tempo. Nel secondo caso si tratta invece di un trattamento continuativo. Ogni quattro mesi viene effettuata un’infusione di un vettore virale iniettato a livello intratecale con una rachicentesi, per produrre la proteina mancante. In ogni caso noi diamo le indicazioni ma è la famiglia a decidere”.
Adesso a che punto è la ricerca? Quali sono le prospettive per il futuro?
“Si sta tentando di trovare ulteriori terapie. Pensiamo che questo possa essere un buon inizio per i nostri ragazzi. Con questa malattia abbiamo vinto delle battaglie, ma non la guerra. Quindi ancora abbiamo tanto da da lavorare, da cercare e da capire”.