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Google, non ti scordar di me: i ricorsi dopo la sentenza “diritto all’oblio”

di Nicola Maria Stacchietti19 Maggio 2014
19 Maggio 2014

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C’è chi uscito di casa e chiusa la porta deve rientrare un numero indefinito e sempre nuovo di volte per recuperare quello che ha dimenticato, e chi invece ha una memoria da elefante e non dimentica proprio nulla, anche quello che sembrava ormai posto nel dimenticatoio: Google. Si ricomincia a parlare dei dati personali contenuti dal più grande archivio di informazioni del mondo, dopo la sentenza della Corte Ue numero 131/12, resa nota nei giorni scorsi, sul cosiddetto “diritto all’oblio”, ossia la rimozione dei dati personali dal web, qualora venga richiesto.
Il fatto riguarda il cittadino spagnolo Mario Costeja González che nel 2010 aveva presentato all’Agencia española de protección de datos (Agenzia spagnola di protezione dei dati, Aepd) un reclamo contro La Vanguardia Ediciones Sl (editore di un quotidiano largamente diffuso in Spagna, specialmente nella regione della Catalogna), nonché contro Google Spain e Google Inc. Costeja González denunciava che, allorchè si digitasse il suo nome sul motore di ricerca (quante volte lo abbiamo fatto per saperne di più sui nostri interlocutori, datori di lavoro o semplici nuove fiamme), tra i primi risultati venivano proposti dei link verso due pagine del quotidiano di La Vanguardia, datate gennaio e marzo 1998. Tali pagine annunciavano una vendita all’asta di immobili organizzata a seguito di un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di crediti previdenziali nei confronti di Costeja González: a distanza di dodici anni si immagina che l’interesse pubblico sulle finanze di González sia quantomeno scemato, ma il malcapitato si è trovato ancora a fare i conti col suo passato.
L’eterna lotta fra privacy e interesse pubblico combatte un nuovo round sul terreno del web. Difatti l’estensione che la Corte spagnola operato sulla direttiva dell’Unione – la 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché alla libera circolazione di tali dati- è una procedura inedita, che ha innescato una serie di ricorsi a pioggia. Anche dall’Italia. La Repubblica.it riporta il caso di Cecilia C.: “Tanti anni fa ho rilasciato un’intervista a una mia amica giornalista su un controverso caso clinico che mi aveva vista protagonista”. Articolo però che poi è stato “pieno di imprecisioni con tutti i miei dati sensibili sopra e ovviamente ne è nato un polverone mai visto”. “Pazienza: era una mia amica, si trattava di una testata locale, e ho lasciato perdere”. Il problema è nato quando quel giornale ha deciso di mettere in rete tutti i suoi archivi. “La mia storia, con tutte le informazioni di cui sopra (che tra l’altro non riguardano solo me, ma anche dei minori della mia famiglia), è finita “consultabile” da chiunque. Ho provato a rivolgermi alla testata in questione, ho interpellato il Garante della Privacy, ho pregato e minacciato: niente. Ora, dopo questa decisione della Corte, spero di riuscire finalmente a ottenere giustizia”.

Nicola Maria Stacchietti

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