ROMA – “Un tavolo, una sedia e un Paese”. Sono queste le tre cose che servono per scrivere. Kamel Daoud riassume così la sua esperienza di scrittore algerino in “esilio”. Nel ricevere il premio Goncourt per il suo romanzo “Houris” – uscirà in Italia a maggio per “La nave di Teseo” –, l’autore ringrazia la Francia per avergli dato “la libertà di scrivere”. Come da tradizione, i giurati del prestigioso riconoscimento letterario si sono riuniti il 4 novembre al ristorante Drouant di Parigi per decretare il vincitore.
Il romanzo, messo al bando in Algeria, racconta la storia di Aube, ragazza che ha un compito arduo: ricordare la guerra d’indipendenza (che non ha vissuto) e dimenticare la guerra civile degli anni Novanta (che invece ha vissuto). Una cicatrice sul collo e corde vocali distrutte sono i segni di una tragedia in grado di segnare il corpo della giovane algerina che sogna di ritrovare la voce. L’unica via d’uscita potrebbe essere il racconto della sua storia alla bambina che porta in grembo. Ma è qui che la coscienza la interroga: ha il diritto di tenere questo bambino? Può dare alla luce una “vita” quando a lei la “vita” è stata quasi tolta?
Sullo sfondo l’Algeria, il Paese che ha varato leggi per punire chiunque parli di guerra civile. Così Aube decide di recarsi nel suo villaggio natale, dove tutto ha avuto inizio, e dove i morti forse le daranno una risposta. “Io sono la traccia vera, la prova più forte che attesta tutto quello che abbiamo vissuto in dieci anni in Algeria. Nascondo la storia di un’intera guerra, scritta sulla mia pelle fin da quando ero bambina”, dice Aube.
Daoud si affaccia dalla piccola finestra al primo piano del Drouant, straripante di gioia, salutando con il libro in mano i tanti giornalisti e appassionati accorsi per il premio.